Sul naufragio a pochi metri dalle coste ioniche di Steccato di Cutro, in cui hanno perso la vita 72 migranti e il numero dei dispersi rimane imprecisato, si è detto e scritto di tutto e di più. A proposito e a sproposito. Per noi sono le testimonianze quelle che esprimono meglio il tragico evento, facendone sentire tutto il peso e offrendo una sintesi dalla quale trarre delle considerazioni, se non proprio delle conclusioni: noi, così lontani dall’accaduto. Lontani geograficamente e (speriamo di no) pericolosamente lontani anche col cuore e la mente.

Peccato che le testimonianze raccolte dai giornalisti vadano troppo presto in soffitta per lasciare spazio a personaggi che con i mezzi di informazione hanno più dimestichezza, e a volti che fanno maggiore audience. Difficilmente sentiremo ancora dire da quel pescatore, che del suo lavoro vive, che in “quel mare” non andrà più a pescare “per rispetto delle vittime”. C’è altro da aggiungere ascoltando queste parole?

Basterebbe tenere fissa in testa questa testimonianza – raccolta dall’inviato del Tg1 delle 20 di martedì – per capire a fondo sia l’immane tragedia dei naufraghi che quella di coloro che su quelle coste vivono e lavorano, e hanno visto i corpi inermi arenarsi.

Parla gente che il mare lo conosce, lo frequenta, lo ama e lo teme e non si dà pace per quello che è successo. È la testimonianza, che racconta di aver cercato di salvare, di aver abbracciato corpi senza vita, di aver vagato per raccogliere oggetti che indicassero qualcosa e qualcuno, di chi oggi vive una tristezza infinita e una specie di lutto familiare, a darci gli elementi necessari per interrogarci, per comprendere, per farci un giudizio e sperare che anche la nostra umanità non sia già naufragata anch’essa nel mare burrascoso. Quello del pressapochismo, della faciloneria, dello scaricabarile, del disinteresse.

Nella Giornata internazionale della Donna, celebrata ieri, ricordiamo anche le 35 donne morte in quel naufragio. Erano madri, figlie, mogli provenienti dalla Siria, donne segnate da anni di guerra; dall’Afghanistan, in fuga da un governo talebano che oscura le libertà; dall’Iran, alla ricerca della loro dignità perduta; dall’Iraq, segnato da disastri ambientali, dal Bangladesh e dal Pakistan.

Madri con figli. Donne con il coraggio di cercare un futuro diverso, di libertà, di sicurezza. Donne che hanno provato a tutelare la vita e per questo hanno trovato la morte.