Il nostro primo piano di oggi, a pagina 3, racconta di un evento a cui è stata invitata la Caritas diocesana e rilancia un appuntamento consueto, quello della colletta alimentare. Il dèjà vu che rischia di far saltare alla pagina successiva.

Un rischio che andava corso perché dietro a questi due appuntamenti si cela una realtà sempre più nuova e sempre più grave. La legge di bilancio 2026 apre ancora di più alla domanda: chi è povero oggi?

Domanda che attraversa i dibattiti, alimenta le statistiche e spaventa milioni di italiani. Il governo rivendica di aver messo al centro la “classe media in difficoltà”: famiglie che lavorano, pagano le tasse, ma non riescono più a risparmiare; genitori che rinviano spese o cambiano supermercato per economizzare. Una fascia di popolazione che un tempo costituiva l’ossatura del Paese e che oggi vive col timore di scivolare verso il basso.

Ma se quella è la “classe media in difficoltà”, chi resta povero davvero? E chi decide dove si traccia la linea di confine? Vivono in povertà assoluta circa 6 milioni di italiani, e poi ci sono quelli che non compaiono nei dati, “dentro il sistema”, invisibili perché formalmente autosufficienti: i lavoratori a tempo parziale, le famiglie monoreddito con figli, i pensionati…

Definire chi è povero significa decidere chi ha diritto a un aiuto, a una politica pubblica. Non è solo una scelta tecnica ma un atto politico e morale, perché dice chi riconosciamo come parte del patto sociale e chi lasciamo ai margini.

La soglia della povertà si è alzata, ma i criteri per identificarla sono rimasti fermi; nel tentativo di salvare chi rischia di cadere, si dimentica chi è già caduto. Mentre si discutono aliquote fiscali, bonus e rottamazioni, c’è un Paese che non arriva neanche al contatore della luce, fatto di mense Caritas, di case fredde, di bambini senza il necessario.

Domenica la Chiesa celebra la Giornata mondiale dei poveri, che non hanno lobby e non rientrano nei “cuscinetti sociali” di una manovra economica. L’Italia non ha più un linguaggio condiviso per parlare di povertà. La politica la misura con l’Isee, l’economia la interpreta con gli indici di consumo, la società la percepisce solo quando la incontra per strada. Ma la povertà non si lascia catalogare, è fenomeno che attraversa le generazioni, cangiante con la trasformazione del lavoro, della casa, della famiglia.

Un Paese che non sa riconoscere i propri poveri non è solo ingiusto, è cieco.