Un appello al Parlamento, in vista dell’imminente decisione della Corte Costituzionale sul tema del fine vita, è stato rivolto nei giorni scorsi da diverse associazioni d’ispirazione cattolica che chiedono al Parlamento di esercitare pienamente e tempestivamente la propria funzione legislativa in materia.

Ma non basta, ci siamo anche noi che con queste associazioni riaffermiamo il nostro convincimento contro la pratica dell’eutanasia offrendo un contributo “per la costruzione di una rinnovata convivenza civile improntata sul profondo rispetto di ciascun essere umano, soprattutto se debole e vulnerabile”.

Dobbiamo ritornare a pensare e a credere che ogni vita umana individuale è un bene in se stessa, al di là delle circostanze della vita e con essa la dignità umana che ci contraddistingue dal primo istante della nostra esistenza fino alla morte. Siamo tutti uguali per valore e siamo coinvolti a prenderci cura gli uni degli altri.

Malattie e sofferenze costellano la nostra storia, ci feriscono, ci debilitano, ci fanno vulnerabili, ma ci danno il diritto di non rimanere soli e il dovere a non lasciar solo nessuno.

“Riteniamo doveroso per il medico – recitano i firmatari dell’appello – astenersi dall’insistenza in trattamenti che, di fatto, si dimostrassero clinicamente inefficaci o sproporzionati, ma desideriamo richiamare e rilanciare l’urgente esigenza di aumentare sforzi e risorse per una maggiore implementazione delle cure palliative, in grado di assicurarne l’effettiva fruibilità su tutto il territorio nazionale per le persone che ne hanno necessità”.

Più volte usate da Papa Francesco, tornano alla mente i riferimenti alla “logica dello scarto” che troppo spesso segna i nostri comportamenti quando consideriamo un peso le persone malate o vulnerabili senza speranza di guarigione.

Troppe volte pensiamo che denari, cure, risorse in loro favore debbano essere ridotti o soppressi del tutto. E’ qui invece che deve scattare con chiarezza la nostra posizione di rifiuto dell’eutanasia, “di ogni scelta intenzionale e diretta finalizzata ad anticipare la morte allo scopo di interrompere ogni sofferenza”.

Per questo dobbiamo auspicare che una simile violazione della vita umana, quale è l’eutanasia, non debba mai trovare avallo e giustificazione nell’ordinamento giuridico del nostro Paese. Il bene della vita rimane tale anche quando irrompe la malattia, la sofferenza e la paura. E noi abbiamo il compito di non abbandonare i malati ad una solitudine disperata; dobbiamo sviluppare la cultura per la quale la morte procurata non assomigli ad un atto terapeutico o un gesto benefico e liberatorio.

La nostra risposta non può non essere e non rimanere autenticamente umana.