(Cristina Terribili)

Forse… ci siamo perduti! Forse abbiamo smarrito un sentiero che ci era sembrato sicuro e diretto verso una destinazione certa. Non c’è spiegazione, altrimenti… Altrimenti bisogna interrogarsi su cosa è andato storto, fermarsi e ripercorrere a ritroso i passi fatti da quando abbiamo cominciato il cammino.

Con il primo arrivo del Covid-19, forse per la paura, forse perché sotto sotto eravamo consapevoli che il virus non si gestiva esattamente come si fa con una banale influenza, siamo stati ligi, attenti, premurosi. Abbiamo agito, pensato e creduto fortemente che, con la responsabilità che ognuno di noi si sarebbe assunto, ciascuno facendo la propria parte, avremmo potuto superare un periodo tanto difficile. S

iamo stati a distanza, abbiamo allungato le nostre braccia per stabilire quale fosse il metro che doveva essere rispettato per moderare i nostri incontri. Abbiamo accettato di usare una serie di accortezze per il bene di ognuno di noi e ci siamo supportati vicendevolmente, con una parola, con una telefonata, con un post sui social, con un arcobaleno disegnato su un lenzuolo ed esposto alla finestra… Ci siamo rassicurati costruendo un pensiero collettivo, che andava oltre il mantra “andrà tutto bene” e che suonava come “io ho le tue stesse preoccupazioni, vivo lo stesso disagio, ma non demordo, uso tutte le precauzioni possibili e faccio la mia parte, mi schiero soldato al tuo fianco, combatto, quella che tante volte è stata definita una guerra, nella tua stessa divisione”. Come se ci fosse allora un un “noi” composto da tutto il mondo e un “lui”: il Covid-19.

Ma forse – chissà – questa battaglia di trincea, questo stazionamento prolungato, ha fatto sì che a lungo andare qualcosa saltasse nell’animo di molti. Invece di mantenere quella distanza individuale e rafforzare quella coesione sociale che ci avrebbe portato coesi verso una vittoria, lo stress, il malcontento, i menagramo che non mancano mai, hanno cominciato a far nascere pensieri ed emozioni insidiose e foriere di spaccature.

Le spaccature sociali create ad arte da chi si foraggia di malcontento, hanno investito tutti: giovani, anziani, genitori nelle scuole, migranti, medici ed infermieri, tutti inconsapevoli di essere manovrati ad arte da chi lucra esattamente sulla povertà sociale.

Perché al distanziamento sociale consegue una povertà sociale e morale che è la vera arma di distruzione di massa contro tutti.

La distanza individuale, personale, quella che ci ha protetto e ci continua a proteggere dalla diffusione dal contagio, si è annullata tanto più aumentava la distanza sociale. Con l’estate, con i numeri del contagio che si abbassavano (attraverso tanti altri meccanismi sicuramente) è stato come se le mascherine si fossero disciolte come neve al sole.

La consapevolezza che l’autunno avrebbe riportato un esacerbarsi del virus, complice anche l’arrivo delle influenze stagionali, ha sfiorato la mente di troppo poche persone; così, ai primi freddi, il sistema sanitario ne ha pagato le conseguenze.

È facile poi dare la responsabilità alla politica, alla gestione sanitaria, se dimentichiamo che l’Italia è fatta da poco più di 60 milioni di cittadini che hanno messo in discussione la malattia, la possibilità di contagiarsi, l’attenzione verso se stessi e verso gli altri.

Forse i discorsi di alcuni dei nostri politici hanno avuto minore forza di quello che Kennedy fece per l’insediamento alla Casa Bianca (il celebre: “Non chiedete che cosa l’America vuole fare per voi, ma che cosa insieme possiamo fare per la libertà dell’uomo”), ma avremmo dovuto capire e ricordare giorno dopo giorno che nessuno poteva arrogarsi il diritto di non contribuire nel fare la propria parte in questo particolare momento storico.

E così, mentre l’America spera di trovare l’unità nazionale perduta con la vittoria di Joe Biden e la presenza della vicepresidente Kamala Harris, proviamo anche noi a ritrovare quei valori di solidarietà e di rispetto reciproco che avevamo messo in campo durante la prima fase della pandemia.

Anche ora, anche adesso, in ogni regione, in ogni ospedale, in ogni scuola o esercizio commerciale, c’è bisogno di mantenere quelle norme di sicurezza personali che ci aiuteranno ad essere ancora una volta una società migliore, da cui prendere esempio, che ha scelto di autogestirsi nel modo migliore per il bene di tutti.

Ognuno di noi è nuovamente chiamato a fare la propria parte, con la mascherina e con un metro di distanza l’uno dall’altro.