(Susanna Porrino)

Viviamo in un’epoca in cui la dimensione relazionale tra uomo e donna dovrebbe essere al culmine delle sue potenzialità; l’eclissi di vincoli e norme morali a cui attenersi, la semplicità con cui è possibile comunicare da qualunque luogo e distanza, la vivacità di una vita trascorsa nel benessere e traboccante di momenti liberi, dovrebbero aver spianato la strada a rapporti di coppia, almeno in età giovanile, più semplici e immediati rispetto al passato. Eppure, la realtà si mostra profondamente diversa; le nuove generazioni, a fronte di incredibili capacità nel percorso di promozione e realizzazione di sé, si trovano disorientate sul fronte delle relazioni, prive di fiducia e di entusiasmo, esasperate e stanche da un’esperienza dell’amore che sembra limitarsi alla ricerca di un appagamento e una gratificazione destinate a spegnersi dopo pochissimo tempo.

Le lotte delle generazioni precedenti, dalla rivoluzione sessuale alle conquiste del femminismo, ci hanno lasciato in eredità una ricchezza di diritti incomparabile; senza voler togliere nulla alle necessità e al valore di tali movimenti, occorre però riconoscere che il loro sviluppo nei decenni successivi ha comportato, dal punto di vista relazionale, una drastica rottura degli equilibri a cui oggi non si sa come rispondere.

La presunta libertà di cui si sono rivestite le relazioni, oggi estranee a qualunque impegno e prospettiva futura almeno fino ad un’età piuttosto avanzata, non tiene in alcun conto l’esigenza insita nella natura umana di una rete di sentimenti e di stabilità consolidatisi nel tempo. Il cinismo, le esigenze di razionalità, la prontezza al distacco a cui questi nuovi modi di relazionarsi hanno portato, spesso conduce a disorientamento e confusione, all’incapacità di rendersi vulnerabili nella condivisione di un dialogo più profondo, alla necessità di curare le ferite che senso di abbandono e rifiuto provocano.

D’altra parte la cancellazione, attraverso i sistemi di contraccezione, del tema della genitorialità, se da un lato ha rappresentato per alcuni un evento liberatorio, dall’altro ha rimosso uno degli aspetti centrali attorno a cui la natura aveva costruito la capacità umana di impegno e costanza nelle relazioni, spegnendo tanto nell’uomo quanto nella donna la necessità di crescere e maturare in tempi relativamente brevi.

Il corpo femminile, dal canto suo, liberato dallo scomodo pericolo di gravidanze indesiderate, si è però trovato a dover fare i conti con una società che ora esige canoni di perfezione estetica irraggiungibili. Inoltre, la donna è rimasta quasi completamente sola nella gestione della maternità, relegata ad inconveniente fastidioso la cui repressione è divenuta un’opportunità percepita quasi come dovere morale e sociale.

Si può davvero parlare di dignità e liberazione in una cultura in cui la capacità relazionale dei ragazzi deve fare i conti con un uso sempre più esteso e pervasivo della pornografia, che riduce il corpo a mero oggetto del piacere e permette di consumare il desiderio in immagini virtuali lontanissime dalla realtà, svuotando la ricerca di contatto e conoscenza dell’altro di buona parte del suo entusiasmo iniziale?

Non si tratta di contestare le conquiste ottenute, da cui sono scaturiti anche aspetti belli e positivi della società moderna; è necessario però interrogarsi sui problemi con cui le generazioni nate in questi contesti (e ulteriormente scoraggiate dall’esempio dei matrimoni falliti all’ombra dei quali sono cresciute) si devono interfacciare. Se il passato ci ha donato nuovi strumenti, il presente ci chiede se abbiamo saputo utilizzarli bene.

Forse dovremmo domandarci se non urga ripensare il modo in cui abbiamo plasmato la società finora, e trovare nuove risposte per rinnovarne e rinvigorirne nuovamente il corso.