Molti fatti di cronaca sono accaduti in queste ultime settimane e giorni nel nostro territorio. Fatti in cui la morte è entrata con rapida prepotenza in alcune famiglie, altri che ci ricordano come le infiltrazioni mafiose non sono cose solo di altre città del nostro bel Paese, fatti in cui il continuo ritrovamento di micro-telefonini ci dicono le difficoltà di chi lavora e vive nel carcere cittadino. E la lista potrebbe essere tanto più lunga, dolorosa, preoccupante. Ancor più se andiamo fuori dai confini del nostro territorio e cominciamo a parlare di morti ammazzati, violenze varie, economia nazionale traballante, abbandono delle nostre terre del Sud e l’emigrazione dei giovani verso altri Paesi, delle imprese in crisi e della mancanza di lavoro e di fiducia nel futuro che condiziona la nascita e la stabilità delle coppie.

Insomma c’è di che dolersi, in un rosario infinito di cose che non vanno, e che effettivamente non vanno, per il verso giusto in un orizzonte con molte zone d’ombra e poche di sole. La stanchezza assale gli adulti e le perplessità assalgono i giovani. Ma allora da dove deve nascere la speranza che nulla è perduto? Da Giovannino.

Se ne parla assiduamente da ieri. Giovannino è nato ad agosto al Sant’Anna di Torino, affetto da una patologia rarissima e inguaribile, l’ittiosi di Arlecchino, e abbandonato dai genitori in ospedale. All’abbandono – che non siamo autorizzati a giudicare – ha risposto l’immediata offerta di accoglienza del Cottolengo di Torino.

“Di fronte ad eventi come questo non bisogna esitare neanche un attimo. Giovannino è una speranza di vita ed è stato naturale dire: accogliamolo noi”. Così ha detto don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, raccontando poi altri particolari.

Ma a noi, di fronte all’ondata di cose che non vanno per il verso giusto, bastano queste parole di peso e questa testimonianza che scuote cuore e mente ed è esempio in cui, idealmente e concretamente, ciascuno di noi trova luce e coraggio per le diverse situazioni che vive e con le quali si confronta in casa, al lavoro, in città.

Anche noi dobbiamo imparare a recitare con don Carmine: “Caro Giovannino, vorremmo pensare un’accoglienza degna del valore infinito della tua esistenza, con tutto ciò che sarà necessario e nelle modalità che richiede una situazione così particolare come la tua: insomma una casa con persone che ti vogliono bene e si prendono cura di te fino a quando sarà necessario, e se poi ci sarà una famiglia, con un papà e una mamma che vorranno essere tuoi genitori, saremo contenti di affidarti a loro”.

Le ombre all’orizzonte d’un tratto si sono dissipate; prima di noi – ci dice la storia di Giovannino – gli altri.