Ricorrendo quest’anno il XVI centenario della morte, ho ricordato in un asterisco l’eporediese san Gaudenzio, primo vescovo di Novara. Ma la vita di questo insigne Pastore rimanda – così la tradizione – anche ad una donna cristiana dell’antica Eporedia, la cui memoria liturgica ricorre nel calendario diocesano il 13 febbraio e la cui statua svetta in alto sulla nostra Cattedrale, a destra di chi guarda la facciata.

Prove documentarie che consentano di conoscere nei particolari la vicenda umana di santa Giuliana non esistono. L’agiografo della medievale “Vita sancti Gaudentii” la presenta come colei da cui Gaudenzio – ad insaputa dei suoi famigliari che, nonostante gli sforzi del giovane, non abbandonarono la religione pagana – ricevette i primi elementi della fede cristiana. E, riguardo alla quale, la Passio (V secolo) dei santi martiri Avventore, Solutore ed Ottavio narra che trasportò a Torino il corpo di Solutore (martirizzato sulla riva della Dora, a Caravino) e lo depose accanto a quello dei suoi due compagni uccisi in città. Sul luogo Giuliana fece edificare una memoria presso la quale lei stessa verrà sepolta. Poi, edificata intorno al Mille, sulla memoria dei Martiri, la chiesa abbaziale di S. Solutore, anche le sue reliquie saranno qui custodite fino a quando Francesco I di Francia, nel 1536, farà abbattere l’edificio per dare spazio alla costruzione della Cittadella; da quel momento anche i resti di santa Giuliana saranno posti nella nuova chiesa di via Dora Grossa (oggi Garibaldi) dove ancora si trovano. Recenti scavi archeologici all’interno del Mastio della Cittadella hanno riportato alla luce una piccola necropoli e parti di un muro dell’abbattuta abbazia: prezioso riscontro di quella che fu una delle culle del cristianesimo di Torino (ne parlano san Massimo e Ennodio, vescovo di Pavia, che alla fine del quinto secolo pregò sulle tombe dei martiri) restituendo alla città memorie antiche divenute nel tempo quasi leggendarie.
La figura di questa donna ci richiama la sollecitudine di tante donne nella diffusione del cristianesimo, il ruolo prezioso che, fin dagli inizi, esse svolsero nella trasmissione della fede.
In linea con i suoi ultimi Predecessori ne fa esplicito riferimento Papa Francesco anche nella “Evangelii gaudium” sottolineando, in relazione alla missione, la sensibilità della donna nell’accompagnare le situazioni quotidiane e richiamando la necessità di una sua maggiore presenza anche là dove si prendono decisioni importanti per la vita delle comunità.
Gli stessi verbi che introducono il n. 24 della Esortazione apostolica ed esprimono l’indirizzo che il Papa intende dare al cammino della Chiesa – prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare – si possono leggere agevolmente in declinazione femminile: le donne ben conoscono queste azioni nella loro quotidianità, e sanno imprimervi una sensibilità particolare. Il “genio femminile”, tante volte sottolineato da san Giovanni Paolo II, consente loro di svolgere l’opera evangelizzatrice con un “protagonismo” che permette alle cose di accadere nel modo più accogliente, inclusivo, festoso per tutti.
Quando si parla di saper far sentire il profumo del Vangelo (Ev. G., n. 39) come non pensare a Maddalena che unge Gesù di olio profumato (quel “di più” che per la saggezza maschile è spesso incomprensibile)? E’ la donna che profuma la casa tenendola pulita, cuocendo i cibi, rendendo sensibile e “respirabile” l’atmosfera di accoglienza e sollecitudine. Da questo la Chiesa – che è “una madre dal cuore aperto” (Ev. G., n. 46) – ha da imparare. Una donna, Maria – scrive il Papa – è più importante dei vescovi (Ev. G., n. 104); “quale madre di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita, aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio” (Ev. G., n. 286).
Il tratto femminile non è esclusivo ma inclusivo; non deve scegliere tra il “domestico” e il “pubblico” ma portare ovunque uno stile e uno sguardo originale; non si definisce in termini di contrapposizione-rivendicazione rispetto alla dimensione maschile, né in termini di equivalenza, ma secondo l’insostituibile contributo di unicità che la specificità femminile apporta al genere umano: duale e non dualista, perché “maschio e femmina li creò”.

† Edoardo, vescovo