Anche qui a Ivrea andrebbe ricordata la battaglia di Novara, una delle ultime battaglie della prima guerra d’indipendenza italiana, svoltasi il 23 marzo 1849, durante il Risorgimento, che si concluse con la completa vittoria dell’esercito imperiale austriaco guidato dal maresciallo Josef Radetzky sull’Armata Sarda, comandata dal generale polacco Wojciech Chrzanowski.

Tra i molti caduti da ambo le parti ci fu anche Ettore Perrone di San Martino a cui la città di Ivrea dedicò un monumento in bronzo e pietra (recentemente ripulito) con il suo busto sopra una colonna e un leone morente ai suoi piedi e che si trova ancora oggi in piazza Perrone, per l’appunto. Il fatto e il monumento rischiano in città di cadere nell’oblio: ne è prova che quella piazza si identifica semplicemente come la “piazza del leone”.

Il mio ex vicino di casa asserisce che in antichità ivi sorgesse lo zoo cittadino. A Novara, al castello dove ha sede “ExpoRisorgimento” si svolgono quest’anno diverse manifestazioni commemorative dell’evento bellico iniziate lo scorso 17 marzo che dureranno fino al 5 aprile prossimo. Ma nonostante gli sforzi, tanto è insito l’impulso alla dimenticanza nell’animo umano che esso ci colpirà sempre più duramente in futuro. E anche adesso, e singolarmente.

Per dire: chi scrive venerdì scorso ha lasciato le chiavi di casa in ufficio. Ovviamente me ne sono accorto quando sono giunto a casa. Così ho pensato che per entrare comunque avrei potuto tentare la via dello sportello basculante per cani. Un’esperienza terribile: un conto è farlo a vent’anni, ma a sessanta è stata dura. Sono rimasto incastrato a metà perché l’addome è quel che è…, inoltre la Penny-cane mi leccava la testa, senza che potessi fermarla, all’interno mentre le gambe erano ancora fuori. Un triste spettacolo per le galline attonite che allungavano il collo per meglio vedere dal pollaio.

Ero immobilizzato dal carapace ligneo del portoncino, come Gregor Samsa quando si svegliò trasformato in un enorme insetto incapace di muoversi umanamente, secondo il racconto “La metamorfosi” di Kafka. Mentre pensavo al mio triste destino, con la mano sono riuscito ad impugnare il catenaccio e liberare il portoncino dal pavimento. Malgrado mi muovessi per divincolarmi, basculando con tutta la porta intorno, in uno spicchio di cerchio, ciò mi consentiva di osservare da quell’inedita angolazione il mio appartamento.

Non c’è niente di meglio che fare dei bei respiri lunghi e riguadagnare la calma. Cosi magicamente mi sono sfilato il portoncino di dosso e riacquistando la posizione eretta sono entrato in casa mia. Spero di dimenticarmi presto della disavventura…