(Editoriale)

Torna prepotentemente alla ribalta il tema della pace; soprattutto perché una eventuale guerra tra Russia e Ucraina non è geograficamente così lontana da casa nostra. Le cose vicine fanno più paura, ovvio.

Si tratta di capire se la nostra paura è data dal rischio di rimanere senza gas prima della fine dell’inverno, pur già pagandolo a un prezzo esorbitante, costantemente in rialzo giorno dopo giorno; se è data dalle ripercussioni negative sulle borse, se per un ampliamento del conflitto fino a diventare mondiale, se per le vittime, presumibilmente tante, che mieterà. O se, non capendoci troppo di tutte le implicazioni che stanno dietro a una guerra (e anche a una pace), abbiamo paura tout court, senza troppi pensieri.

Comunque sia, si tratta di paure condivisibili che, in modo diverso, si aggiungono ai due anni di paura che abbiamo vissuto con la pandemia; attenuata ma non ancora sconfitta. Da molti ambiti della società civile del Paese si alzano voci per la pace: chi marcia, chi prega, chi fa incontri, chi sventola bandiere e fa proclami, chi occupa piazze, chi pagine di giornali. Nessuno di noi vuole andare alla guerra, e c’è chi propone ricette più o meno casalinghe, che talvolta sembrerebbero più sensate (ma proprio per questo più idealiste e irrealizzabili) di quelle diplomatiche. Nel novembre scorso è uscita la decima edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo.

I numeri sono impressionanti, tra guerre e guerriglie, morti, sfollati e migranti, impiego di denari. Non possiamo rimanere indifferenti a quanto succede nel mondo, anche se l’informazione non sempre ci aiuta ad avere una visione a tutto tondo, come tonda è la terra che abitiamo. L’informazione sovente tende a dimenticare ciò che è più lontano, ciò che ha meno interesse e influsso sulla nostra vita, o non fa abbastanza clamore per creare quell’audience nella quale si crogiola. La richiesta di pace per altri popoli e nazioni non può farci eludere la richiesta e l’impegno per la pace in casa nostra, nella nostra società e nei luoghi che frequentiamo.

Ora non c’è la guerra, come normalmente la si intende: ma c’è pace? La pandemia e la sua gestione hanno lacerato il tessuto sociale e alterato le relazioni, e molto in questo senso è da ricostruire, da rinegoziare, da riequilibrare, persino da rifondare.

La ricerca della pace nel mondo comincia col saper dire (e con l’accettare di sentirsi dire) “la pace sia con te”, a partire da qui, e ora!