Una questione di vita (per alcuni) e di morte (per altri). L’acqua. Quel bene prezioso di cui non ci accorgiamo, che sprechiamo in abbondanza e che probabilmente ci farà tribolare in un futuro neppure troppo remoto. Oggi si celebra la giornata mondiale dell’Acqua, come ogni 22 marzo dal 1992, quando le Nazioni Unite dettero il via a questa ricorrenza che, tra le tante che costellano il calendario, ritengo essere una delle più importanti. Tanto importante quanto assolutamente bypassata nell’interesse comune, soprattutto nostro, cioè di chi oggi al problema non si interessa perché dal rubinetto l’acqua continua ad uscire e di chi non pone la benché minima attenzione a cosa succede nel mondo attorno a questo bene prezioso, che in qualche modo ci collega, ci unisce e ci renderà sempre più dipendenti gli uni dagli altri.
In questa giornata si “rischia” di incappare in qualche iniziativa di informazione e di sensibilizzazione circa l’acqua, il suo utilizzo e il nostro spreco. E’ lo scopo della giornata. Sfido a trovare qualche iniziativa nei nostri territori. Semmai ci fosse, domani…è già acqua passata.
Facciamo parte di quella generazione che fa fatica a comprendere le ragioni dei beni che abbiamo a disposizione da madre natura, li considera un diritto acquisito (e così è, ma lo è per tutti e non solo per alcuni) e che come tale esige rispetto, condivisione e protezione.
Il tema per questa edizione 2018 è “Natura per l’acqua”, esplorare le soluzioni basate sulla natura per le sfide idriche che affrontiamo nel XXI secolo. I danni ambientali che ormai vediamo con i nostri occhi in diretta dai teleschermi, gli effetti sempre più ricorrenti dei cambiamenti climatici che constatiamo anche oggi sulla porta d’uscita di un inverno strano e di un inizio di primavera che lo è ancora di più, stanno accentuando nel nostro mondo le crisi idriche legate alla disponibilità e all’accesso all’acqua potabile, ma anche danni derivanti da inondazioni e siccità.
Il ciclo naturale dell’acqua, segnalano gli esperti, è sempre di più messo in crisi, e conseguentemente si riduce la disponibilità di acqua dolce di cui abbiamo bisogno per sopravvivere e prosperare, e si assiste ad un depauperamento dei suoli, dei fiumi, dei laghi e quindi dei nostri ecosistemi. Qualcuno tra noi se ne sta accorgendo? Se si, forse sta girando la testa dall’altra parte per non vedere, e soprattutto per non implicarsi, a fin di bene, nella lotta per il mantenimento dell’acqua come risorsa per tutti.
Io, ma anche tu, e tu, e tu…facciamo fuori dai 200 ai 300 litri di acqua al giorno. E sono certo che non ce ne accorgiamo. Per lavarci i denti ne usiamo dai 20 ai 30 litri che è quanto esce dal rubinetto lasciato aperto durante questa operazione di pulizia. Una doccia da cinque minuti chiede 60 litri di acqua e un bagno il doppio. Il peggio viene quando ci dicono che di acqua ne consumiamo una quantità media ogni giorno che va dai 4.000 ai 5.000 litri a seconda del nostro menù.
Ci abbiamo mai fatto caso? Tutto dovuto? Tutto scontato? Già. Perché siamo così poco attenti all’acqua, che ci sfuggirà di mano ben presto, da non pensare che oltre a quei 200-300 litri per le attività domestiche, i restanti consumi d’acqua sono per la produzione di alimenti, servizi e beni. Per fare una bistecca ci vogliono 2.850 litri d’acqua (1.550 litri all’etto), per un hamburger 2.400 litri, per un kg di riso ben 3.400 litri, un kg di frumento 1.222 litri, per un kg di noci e nocciole servono 9.065 litri, per un litro di olio di oliva o un kg di formaggio tra i 4.000 e i 5.000 litri. Anche una pizza margherita ha bisogno di 1.259 litri di acqua, di cui il 50% per produrre la mozzarella, il 44% per la pasta e il 6% per il pomodoro. 100 gr di cioccolato hanno bisogno di 1.700 litri: per far crescere 1 kg di fave di cacao (l’ingrediente base del cioccolato) occorrono 20.000 litri di acqua; poi c’è lo zucchero che richiede 1.800 litri al kg.
Il 71% della superficie della Terra è coperta d’acqua, per lo più salata e anche quella dolce non è sempre accessibile: solo lo 0,3% si trova nei fiumi e nei laghi e può essere utilizzata dall’uomo. In giro per il mondo, e in quel mondo che già oggi soffre la mancanza d’acqua, che invece dalle nostre parti soffriremo ben prima della metà di questo secolo, sentivo “girare voce” che le guerre stanno scoppiando non più per il petrolio ma per il controllo dell’acqua, il cosiddetto “oro blu”. Già nel 1995, Ismail Serageldin ex vicepresidente della Banca Mondiale, ebbe a dire che “se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua”. Gli fa eco Papa Francesco, più recentemente, quando affermò preoccupato: “Mi chiedo se in questa terza guerra a pezzi siamo in cammino verso la grande guerra mondiale per l’acqua”. Molti conflitti spacciati per etnici, religiosi, politici, sociali non sono altro che conflitti per il controllo dell’acqua dove la questione idrica è diventata per certi Paesi addirittura una questione di sicurezza nazionale. Si combatte per l’acqua del Giordano condiviso da Israele, Giordania, Siria, Libano e Cisgiordania, dove le negoziazioni per risolvere il conflitto arabo-israeliano non hanno mai tralasciato la questione della gestione delle acque di quel fiume. Sono contese le acque del Nilo, che dalle “misteriose” sorgenti fino alla foce bagna ed irriga tanti Paesi africani; del fiume Indo in Pakistan i cui affluenti nascono in India; c’è il controllo da parte della Turchia del Tigri e l’Eufrate, da cui dipendono Siria e Iraq, il Mekong in Asia, il fiume Colorado tra Messico e Stati Uniti. Sono alcuni dei teatri futuri delle guerre per l’acqua.
Non solo, perché è altrettanto vero che a causa delle guerre si può produrre un’emergenza idrica. Cito il caso del Sudan nel 2006. L’aumento dei rifugiati dall’Eritrea che scappavano dalla violenza nel loro Paese ha causato una maggiore richiesta d’acqua e di conseguenza una pressione ancora più forte sulle già limitate risorse d’acqua sudanesi. Ben prima lo sperimentai nel piccolo Burundi che ospitava centinaia di migliaia di profughi dal vicino Ruanda e nell’Est del martoriato Congo con popolazioni sempre in fuga da guerre e violenze.
Vedo già l’indifferenza con la quale accogliamo questo drammatico quadro affermando che “tanto sono situazioni lontane, non ci riguardano, noi abbiamo i nostri monti, le nostre sorgenti, ruscelli e fiumi e non siamo in guerra con nessun Paese vicino per spartirci l’acqua”. E’ un errore pensare alla carenza d’acqua e allo stress idrico come problemi dei Paesi più poveri dove mancano infrastrutture e finanziamenti ad hoc. E ce lo dicono gli esperti. Lo scenario per il 2025 si presenta peggiore dell’attuale; entro quella data – secondo i dati WHO – la metà della popolazione mondiale vivrà in zone con problemi idrici. Stando alle previsioni, le aree colpite da scarsità d’acqua – oggi superiori al 20% del totale della superficie del pianeta – aumenteranno sostanzialmente arrivando al territorio di USA, Canada, Europa continentale, Asia del Sud, Africa e India.
La richiesta d’acqua aumenterà dell’80% entro il 2050. I cambiamenti climatici stanno già determinando la disponibilità (minore) di acqua e la conseguente sicurezza alimentare e idrica. Gli esperti lavorano per determinare politiche nuove nell’uso delle risorse, la sostenibilità dell’impiego di acqua in agricoltura e nelle aree urbane.
E noi, per una volta, proviamo a pensare in grande, che anche il nostro risparmio d’acqua oggi – tra faccende domestiche e alimentazione – lascerà qualche goccia in più di disponibilità per i nostri figlie nipoti. E’, almeno questa, una buona motivazione?
Carlo Maria Zorzi