Immagine tratta da Freepik

Con l’estate che volge al termine si chiudono anche, per la maggior parte di noi, i giorni di svago e di divertimento. Anch’io sono riuscito a ritagliarmene qualcuno. Non è banale, anzi, diventa essenziale concedersi momenti così. E mentre penso a ciò che resta di questi mesi leggeri, mi vengono in mente frasi e battute, di un mondo giovane che guarda ad un clero altrettanto giovane. Chi racconta di un prete in birreria, o a un concerto, e la reazione di molti tra sorpresa, sospetto, quasi stonatura. Ma come? Chi ha scelto di rinunciare a sé stesso per amore di Dio e degli altri si concede a simili svaghi?

Il ragionamento, a prima vista, sembra filare. Eppure manca di un dettaglio non accessorio, bensì essenziale, a cui il mondo giovane non sempre è disattento: l’umanità.
Il nostro parroco, l’assistente spirituale, il confessore, il sacerdote grande amico di famiglia…: tutti uomini, come noi. Se dimentichiamo questa verità elementare, rischiamo di cristallizzarli in una perfezione immobile, li rendiamo creature irraggiungibili, inattuali, perfino folli. E nello stesso istante, da loro pretendiamo tutto: che celebrino quindici Messe in quindici chiesette diverse per non scontentare nessuno; che l’omelia sia corta, perché parrebbe troppo azzardare un cammino di crescita nella comprensione della Parola di Dio; che siano sempre disponibili, instancabili, infallibili, quasi sovrumani.

Il mondo giovane pensa che un prete è anche altro.
È colui che talvolta ha bisogno di respirare la libertà di una gita in montagna, di una birra condivisa tra amici, di un giorno di mare o di un abbraccio ai genitori anziani che necessitano davvero della sua presenza. Tutto questo non lo rende meno prete, meno santo, meno consacrato. Lo rende più vero. Più umano. E proprio per questo più vicino, più credibile. Si intuisce allora che la sua scelta non è aliena, non è follia: è un cammino possibile, percorribile, abitato da una gioia reale e contagiosa.

Se il sacerdote è un uomo equilibrato, felice, capace di santificare sé e gli altri vivendo la propria umanità, diventa una calamita di vocazioni, un segno che attira senza costringere. La comunità, comprendendolo nella sua fragilità e nel suo dono, lo amerà di più, sarà grata, e saprà prendersi cura di lui. Non tanto santi inarrivabili che fluttuano sopra di noi, ma umili uomini che provano a diventare santi, ci incoraggiano a fare altrettanto e ci mostrano che questo è davvero possibile.