Foto generata con I.A.

Riposo. Una parola che sa di silenzio e tregua, ridotta a lusso, come se fermarsi fosse una colpa. Lo avverto sulla mia pelle: pensiamo di essere architetti frenetici delle nostre giornate, ma poi lasciamo che la frenesia domini la nostra capacità di programmazione. Col risultato che l’intervallo, il respiro, l’ombra protettrice del riposo diventano accidenti marginali. Quasi fossero peccato.

Quando faccio qualcosa che amo, e se addirittura ho la fortuna di trasformarla in lavoro, ecco che l’inganno diventa ancora più ammaliante. Così rimando il riposo, lo snobbo, lo incateno a un traguardo. Lo considero superfluo. Fino al punto in cui il corpo, la mente, l’anima sospirano e dicono basta. È lo sfinimento a costringermi a fermarmi.
E allora crollo, vinto.

Il riposo dovrebbe essere invece sacro. È linfa. È il luogo dove il cuore ritrova ritmo, le ferite si rimarginano, le idee germogliano. Senza pausa non vi è forza; senza silenzio non vi è parola che regga. Come la notte è necessaria al giorno, così il riposo è condizione di ogni azione. Che poi finisce che nel brulichio dimentico Dio e perdo me stesso.

Papa Leone tutto questo lo sa, lo comprende e reagisce. Consacra il martedì a un silenzio rigoroso, “rifugiandosi” a Castel Gandolfo. Non è una fuga aristocratica: è gesto, disciplina, ammonimento tacito. Se lui, che sulle spalle porta il peso del mondo intero, può fermarsi, allora chiunque può e deve reclamare una tregua. Quel martedì fuori porta martedì non è vacuità, ma officina segreta di energie. Quel tu per tu con Dio che ti svolta la quotidianità.

Mi assale un non so che quando penso ai colleghi giornalisti che seguono il Papa: trascinati dai ritmi inumani dell’infotainment (informazione e intrattenimento messi insieme) non solo rinunciano al loro riposo, ma finiscono col violare quello degli altri. Così, ogni martedì sera, immancabili, si radunano a capannello davanti ai portoni di Villa Barberini a Castel Gandolfo aspettando di raccogliere qualche esclusiva dichiarazione. Ed il Pontefice non si nega, risponde persino alle domande più ostiche. Ma lo spettacolo è quello del silenzio ferito, della tregua negata.

Da qui la sfida che ci riguarda, non soltanto per chi scrive o racconta, ma chiunque viva stretto nelle urgenze del lavoro, dello studio, delle varie responsabilità quotidiane. Non attendiamo il collasso per fermarci! Non consegniamo il timone della vita all’affanno, non gestiamo la quotidianità come fosse una perenne crisi. Ritagliamo spazi intangibili, giorni o frammenti di giorni, e difendiamoli.

Non è lusso. È diritto. È necessità vitale. Concediamoci il riposo. Difendiamolo con ardore. Perché solo dal silenzio nasce di nuovo la forza.