I riti della Pasqua di quarant’anni fa, il grido dell’Africa e dell’Afganistan

(Fabrizio Dassano)

Nel 1980 la Pasqua era caduta il 6 aprile e allora andiamo un po’ a curiosare in quelle edizioni del Risveglio Popolare di quarant’anni fa intorno a questo importante evento. “Anche nel Canavese si è avuto uno scoppio di vitalità che, se non è valso a far dimenticare i gravi problemi in cui si dibatte il nostro momento epocale non è stato neppure la fuga nello stordimento di chi vuol mettere ad ogni costo tra parentesi i lati scomodi della realtà”, si leggeva nel numero del 10 aprile, dove il cronista si concedeva qualche ulteriore riflessione: “Non è il momento delle analisi e dei bilanci sulla frequentazione alle funzioni della Settimana Santa.

Ad alcuni pastori è parso di notare un leggero declino rispetto ad anni immediatamente trascorsi. Una certa assuefazione, dopo gli anni della riscoperta dovuta alla riforma liturgica?”. Ma più pragmaticamente, il cronista ipotizzava poi che la minore partecipazione fosse legata all’esodo durante le vacanze scolastiche di gruppi familiari verso parenti o verso località turistiche con una frenesia ferragostana. Ad Ivrea, comunque, affollata era stata la cattedrale per la Messa Crismale la mattina del Giovedì Santo, con 120 sacerdoti a concelebrare con il Vescovo monsignor Luigi Bettazzi. Gremite le funzioni del mattino di Pasqua, tanto che a San Lorenzo la Santa Messa delle 10.30 era stata celebrata sul sagrato per fare stare tutti.

Il sole del giorno successivo aveva accompagnato la fuga nei prati e la festa. Due esempi: “Pasquetta con gli argentini” nella ex polveriera sulle rive del Lago San Michele, con famiglie eporediesi ed esuli giunti dal castello d’Albiano; a Borgofranco i “balmetti” erano diventati il centro di una grande festa e la Filarmonica del paese si era esibita in un concerto bandistico a cui era seguita una lotteria, mentre nei prati vicini atterravano i deltaplani che si lanciavano dalla sovrastante Andrate attirando una folla di curiosi.

Teresio Belletti firmava invece un articolo che poneva un punto di riflessione sulla situazione di guerra in Afganistan del momento e sulla povertà in Africa, dal titolo: “Quel grido dall’Africa”. Erano anni in cui la contrapposizione dei blocchi est / ovest era molto forte, ci sarebbero voluti ancora 9 lunghi anni per lo sgretolamento del sistema comunista, culminato con l’abbattimento del muro di Berlino. L’anno precedente, nel 1979, una grande forza d’invasione dell’URSS aveva superato le frontiere per andare ad “aiutare” il governo afgano e tutto l’Occidente aveva sussultato.

USA e Nato erano di nuovo ai ferri corti con URSS e Patto di Varsavia. Quindi Belletti ricalcava le preoccupazioni dell’opinione pubblica sullo scontro che ci riguardava da vicino e che aveva coinvolto nel dibattito anche i politici e gli economisti: “Per troppo tempo abbiamo creduto che la salvezza dell’umanità consistesse nella vittoria del più forte e del più buono (ciascuno il suo, secondo l’ideologia). Non ci siamo accorti di aver posto la nostra fiducia nei potenti, abbiamo dimenticato che il futuro non è nelle loro mani, ma nel dolore dei poveri. Quegli altri possono solo darci la morte”. Poi riprendeva ponendo l’attenzione “nei rapporti nuovi che si possono e si devono creare tra i popoli in un serio confronto tra la minoranza del benessere e la moltitudine degli esclusi e degli affamati, nella rinuncia delle forze di morte per accogliere la fragilità della vita”.

Infine si rifaceva a un recente viaggio del Papa in Africa e alla violenta esortazione del pontefice al popolo africano di “non imparare dal mondo dei ricchi”, che aveva sconvolto il protocollo della visita in Alto Volta.

Anche la vignetta che accompagnava il pezzo era particolarmente riuscita: un Breznev appena accennato ma riconoscibile dalle inconfondibili sopracciglia, calzando scarponi militari con la scritta CCCP nella suola, saltava su una città arabeggiante nel disegno con l’indicazione stradale di Kabul e l’esclamazione ancora più esplicita: “Siamo sempre pronti a correre dove sia richiesto il nostro aiuto fraterno”.

Particolarmente profetico l’intervento di Belletti: dopo l’annientamento della 40a armata dell’Urss e l’abbandono del Paese dopo 10 anni di guerra, nel 2001 dopo l’attacco alle torri gemelle, l’Afganistan venne occupato da altri potenti in una nuova prospettiva di morte: gli Americani.