Il girovagare per il mondo di uomini e donne per svariati motivi e anche per lunghi periodi di permanenza altrove che il proprio Paese è un fatto comune, accettato quando si tratta di noi all’estero, guardato con più o meno sospetto quando riguarda gli altri in casa nostra. Ci si sposta per lavoro, per divertimento, per le vacanze, per sfuggire a carestie e guerre, per studio, per consumare la pensione, per pagare meno tasse, per sottrarsi alla legge… Si importano – e si esportano – conoscenze, cultura, tradizioni, cucina e alimentazione, abitudini, feste, modi di fare, espressioni linguistiche… Ci si arricchisce vicendevolmente; si dà e si riceve. Si fa la somma, si integra, si completa, si apprezza ciò che c’è di buono senza chiedere all’altro di cambiare e senza rinnegare – a nostra volta – il bagaglio culturale e di valori con cui siamo cresciuti. Il tutto vissuto con serietà e serenità, come si conviene a persone mature, aiutati anche da una politica che lavora e legifera per una sana e armoniosa convivenza. Solo il sentimento della paura, sovente infiltrato ad arte, riesce a stravolgere e a falsare questo ritmo sereno dello stare insieme e a far vivere ciò che dovrebbe essere integrazione come emarginazione, e ciò che ci appartiene culturalmente non come ricchezza da far conoscere e condividere, ma come fattore di divisione. L’elemento paura esiste per noi verso gli altri e degli altri verso di noi quando approdiamo in casa loro. E’ legittimo fintanto che non è creato ad arte, strumentalizzato, usato per scopi diversi. E se è legittimo è anche passeggero perché la frequentazione crea poi confidenza, fiducia, rispetto reciproco, e la paura passa. Quando è alimentato ad arte la paura resta, non passa e nessuno ha voglia di farsela passare. E’ a quel punto che si è creato e trovato “il nemico” che vuole rubare ciò che “è nostro” e dove quel nostro è altamente possessivo, impossibile da condividere, anzi, è proprio da lì che la frattura si consuma.

Il Natale è ricco di segni della nostra tradizione, un’occasione speciale per farli conoscere e per conoscere le tradizioni altrui in tempi di così alta globalizzazione; un’occasione per unire e non per dividere; un’occasione per scoprire che tradizioni diverse hanno sovente valori comuni e si possono tranquillamente vivere insieme, ciascuno con la propria fede, sfera nella quale non vogliamo e possiamo entrare. Quanti auguri – e regali, sovente simbolici ma sempre graditi, e cibo condiviso – in occasione delle feste cattoliche ho ricevuto da fedeli musulmani e quanto ho altrettanto fatto in occasione delle loro ricorrenze, durante i miei lunghi anni di cooperazione in Africa e altrove. Io sono rimasto cattolico e loro sono rimasti musulmani, ma io ho imparato qualcosa di più delle loro tradizioni e loro delle mie, nel massimo rispetto vicendevole e con un bagaglio di conoscenza accresciuto. Sempre utile.

Il presepe di questi tempi è diventato l’oggetto più stiracchiato, strapazzato, strumentalizzato, strattonato. Ne parliamo nelle pagine interne del nostro giornale non raccontando le polemiche che qui e altrove fomentano un Natale di divisione, ce ne sono tante, troppe. Sono conosciute. C’è il presepe rifiutato per sottrazione nelle scuole, con la scusa che offenderebbe la sensibilità di altre religioni, quando queste non hanno la benché minima voglia di offendersi, ma sovente esprimono il desiderio e il piacere di condividere la festa, perché fare festa insieme è sempre bello. In nome di una certa laicità meglio non fare il presepio che, tradotto, vuol dire che sarebbe troppo faticoso lavorare per sommazione e quindi per la conoscenza diffusa dei segni e dei valori delle singole religioni nei loro momenti forti dell’anno. Meglio accantonare il problema. C’è poi chi dimostra che il presepe lo ha scoperto da poco, cioè da quando ha cominciato a pensare che qualcuno volesse portarglielo via, rubarglielo insieme alle tradizioni di cui per anni – forse – non gliene è mai fregato un granché, e si erge oggi a paladino e difensore di valori che nessuno vuole distruggere, ma che sarebbe tanto bello se fossero elementi di conoscenza condivisa. Certo, poi però bisognerebbe avere il coraggio di interessarsi anche ai segni e ai valori altrui, nelle feste, nelle ricorrenze, nelle abitudini. E’ proprio conoscendo che si abbattono le barriere, la diffidenza, le paure e si armonizza una società, una comunità.

Per questo abbiamo chiesto autorevoli commenti e opinioni sugli strattonamenti a cui è sottoposto il presepio in questo Natale 2018. I fatti sono noti, sovente sono purtroppo anche ciò che noi pensiamo o ciò che noi non siamo capaci di pensare. Non rinunciamo ad alcune ritualità condivise costitutive delle nostre comunità ma non ne facciamo oggetto di potere e di divisione, al contrario. E pensiamo che la scuola, ma non solo, “in un’ottica di vera inclusione, realizzata anche attraverso la condivisione dei simboli costitutivi della storia e della cultura di questo paese, può valorizzare le nostre tradizioni” come disse qualche giorno fa il Ministro dell’Istruzione rispondendo ad una interrogazione parlamentare proprio su queste tematiche.

Essere inclusivi significa condividere e comprendere la cultura del paese in cui si vive anche attraverso le sue tradizioni. Per noi, quando siamo fuori dai nostri confini e per chi è venuto da lontano per motivi vari e vive qui. Aiutandoci a farlo reciprocamente, senza paure.