La sapienza della Chiesa accompagna il nostro cammino di conversione quaresimale, innanzitutto con due simboli geografici (il deserto e il monte, nelle prime due domeniche), poi con un simbolo tratto dalla natura: l’albero di fico che porta buoni frutti è l’immagine della vita del credente che non si rassegna a morire, ma si impegna a rivivere grazie al soffio rigenerante della Parola di Dio accolta, custodita e messa in pratica.

Il fico è uno dei frutti più diffusi in Oriente, simbolo di fecondità, segno di una vita “bella” nel senso più profondo del termine: non solo nella religione ebraica, ma anche in altre c’era questa percezione (si riteneva che Budda fosse giunto all’illuminazione perfetta sotto un albero di fico). Secondo la narrazione del libro del Deuteronomio, il fico è uno dei frutti caratteristici della terra promessa da Dio al popolo di Israele (Dt 8,8) che evidenzia il contrasto col deserto che “non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi” (Nm 20,5). Secondo il libro della Genesi (3,7), dopo il peccato originale causato dalla volontà di mangiare un frutto proibito, Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi e Dio intrecciò foglie di fico perchè coprissero la loro vergogna. Sant’Agostino commenta questo passo: “Come per un albero siamo morti, così da un albero siamo stati riportati in vita; un albero ci ha mostrato la nudità, così un albero ci ha rivestiti con foglie di misericordia“.

Forse per questo motivo, Gesù ha ripreso il simbolo dell’albero di fico come paragone per descrivere il cammino di conversione, nel vangelo di questa terza domenica di Quaresima. Dio ci vuole troppo bene per rassegnarsi a guardarci come fichi sterili, e si ostina a coltivare quest’albero che è la nostra vita! Ma l’infinita pazienza di Dio verso di noi non ci mette in un clima di inerte tranquillità: piuttosto è uno scossone alla nostra pigrizia. Un serio impegno di conversione da parte nostra nasce dalla constatazione che Dio ci sta pazientemente coltivando: con la sua Parola, con i Sacramenti della nostra fede, per farci uscire dall’egoismo ed educarci a trasformare la nostra vita in un dono d’amore, gustoso e nutriente come quel frutto che scaturisce dal fico.
Solo quando ci renderemo conto che potrebbe essere questa l’ultima occasione, prenderemo sul serio l’appello a convertirci e credere al Vangelo: “Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutto per l’avvenire: se no, lo taglierai“.

Lc 13, 1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.
Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.
Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”»