L’ipotesi della sfida europea Meloni-Schlein si fa più difficile. Nel centro-sinistra è sceso in campo il “padre” dell’Ulivo, Romano Prodi, contrario a “candidature-civetta”; un messaggio forte alla nuova segretaria, che tiene conto del vasto malcontento nel partito, dalla minoranza riformista alla sinistra di Orlando e Provenzano. L’ex premier si limita a sottolineare il dovere della correttezza verso gli elettori (chi si candida per Strasburgo deve poterci andare), ma non è un mistero la differenza di linea politica: la Schlein persegue l’obiettivo dello scontro destra-sinistra, Prodi è stato l’artefice dell’intesa larga tra centro e sinistra, da Clemente Mastella a Fausto Bertinotti. Peraltro il cambio di passo della Schlein in politica estera (con l’astensione sul sostegno all’Ucraina) ha deluso alcuni influenti leader, da Enrico Letta a Franceschini, mentre resta aperto il conflitto con la minoranza riformista e cresce il confronto con i Pentastellati (Conte è critico sul possibile “duello” tv Meloni-Schlein).

La Schlein rischia la corsa solitaria, con sondaggi che danno il Pd alle Europee al 20% e il M5S al 17. Crescono intanto le voci su possibili successori dopo il 9 giugno: a sinistra il segretario della Cgil Landini, tra i “padri nobili” il Commissario UE ed ex premier Gentiloni. Ma sono due linee diverse: radicale Landini, riformista l’ex premier, a conferma di una difficoltà obiettiva del Pd – sin dagli anni dello scontro Renzi-D’Alema – a definire una strategia unitaria e condivisa.

Nell’impossibilità di scegliere tra i riluttanti Grillini e i Centristi (divisi), i Dem sono in difficoltà anche nelle alleanze per le prossime regionali e comunali. Per “salvare” Firenze, Franceschini ha ripreso i contatti con Renzi (per ora senza esito), mentre l’altra componente centrista dell’ex ministro Calenda ha stretto un accordo con i Radicali per le Europee, con il disegno di superare il tetto del 4 per cento. Da Parigi Macron, leader dei Liberali europei, insiste per un’intesa in extremis Calenda-Renzi, ma il divorzio pare insanabile, nonostante il rischio di una dispersione dei voti per Strasburgo.

Nel destra-centro i sondaggi sorridono alla candidatura Meloni, con FdI valutata addirittura al 32%; ma il prezzo politico sarebbe pagato dai due vice-premier, con la Lega e i Forzisti entrambi in picchiata al 6%, una Waterloo. In Fratelli d’Italia crescono le preoccupazioni per le possibili ripercussioni sul Governo, perché il Carroccio e i Berlusconiani potrebbero “implodere”; secondo Matteo Renzi non sono escluse nuove elezioni politiche, in tempi brevi.

La Meloni, in alternativa, potrebbe scegliere di rafforzarsi nelle elezioni regionali, punendo l’avversario Salvini e risparmiando il mite Tajani (che difende Cirio in Piemonte e Bardi in Basilicata).
Il quadro internazionale, sempre più cupo, dovrebbe indurre tutte le forze politiche a premiare l’operatività delle istituzioni democratiche, con una minore ossessione per il voto europeo. La nuova crisi nel Mar Rosso, con gravi conseguenze sul commercio mondiale (tra cui l’aumento dei prezzi), i continui richiami dell’Europa sulla ratifica del Mes, il peggioramento – soprattutto – del clima bellico, dovrebbero indurre Governo e Parlamento ad una doverosa priorità ai temi esplosivi di politica estera (e alla ricerca di strategie di pace).

Analogamente suscita perplessità la corsa parallela di FdI e Lega ad approvare in prima lettura, entro il 9 giugno, le riforme istituzionali sul premierato elettivo e sull’autonomia differenziata delle Regioni. Si tratta di modifiche costituzionali così rilevanti che non possono essere varate “di corsa”, per fini elettorali: il premierato elettivo incide sui ruoli istituzionali (e rende vuoto il potere del Capo dello Stato); la riforma Calderoli ha un costo molto elevato per le finanze pubbliche, se si vuole evitare una ulteriore frattura tra Nord e Sud.

Senza una doverosa priorità ai temi di fondo, la campagna elettorale per le Europee rischierebbe di far perdere mesi preziosi al Parlamento, deludendo le attese dei cittadini.

Resta valido e attuale l’appello di Sergio Mattarella a favorire l’unità del Paese, non gli interessi di parte.