(elisabetta acide) – Sono trascorsi 1.700 anni: 325-2025; Papa Leone XIV, con la
Lettera apostolica “In Unitate Fidei” – leggila integrale cliccando qui,
“lancia” un accorato appello voglio “incoraggiare in tutta la Chiesa un rinnovato slancio nella professione della fede”.
Il Concilio ecumenico di Nicea ha scaturito quella “professione di fede”, che ancora dopo XVII Secoli proclamiamo, esempio di quel “dialogo” e trasmissione della fede che ha caratterizzato quel turbolento e travagliato periodo storico e che ha unito nella “condivisione” di quel “Gesù, Cristo, Figlio di Dio” di cui si parla nei Vangeli.
E Papa Leone, al paragrafo 2 sintetizza con grande chiarezza:
“annunciare il Vangelo di Dio sul suo Figlio morto e risorto per noi (cfr. Rm 1, 9), che è il “sì” definitivo di Dio alle promesse dei profeti (cfr. 2 Cor 1, 19-20).
In Gesù Cristo, il Verbo che era Dio prima dei tempi e per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte — recita il prologo del Vangelo di San Giovanni —, «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). In Lui, Dio si è fatto nostro prossimo, così che tutto quello che noi facciamo ad ognuno dei nostri fratelli, l’abbiamo fatto a Lui (cfr. Mt 25, 40)”.
Nuovo “periodo storico” è stato definito il “tempo” del Concilo di Nicea, quasi 300 vescovi e “metodo sinodale”: radunarsi dei rappresentanti ufficiali delle chiese, stendere una professione di fede comune che è “momento di comunione” e Papa Leone, richiama proprio questo aspetto: a 1700 anni la concomitanza della ricorrenza con l’anno giubilare, in un tempo così travagliato come quello in ci stiamo vivendo: “il Simbolo Niceno-costantinopolitano, professione di fede che unisce tutti i cristiani. Essa ci dà speranza nei tempi difficili che viviamo, in mezzo a molte preoccupazioni e paure, minacce di guerra e di violenza, disastri naturali, gravi ingiustizie e squilibri, fame e miseria patita da milioni di nostri fratelli e sorelle”.
E la speranza è il “filo rosso” che ancora anima la Chiesa e che il Pontefice sottolinea:
“Dio non abbandona la sua Chiesa, suscitando sempre uomini e donne coraggiosi, testimoni nella fede e pastori che guidano il suo Popolo e gli indicano il cammino del Vangelo”.
Speranza che “anima” e deve “animare”, non dimentichiamo, come il Papa non ha mancato, nella sua lettera, di ricordare (nn.3-8) la “vicenda” storica e l’affermazione del Concilio:
“I Padri del Concilio testimoniarono la loro fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione apostolica, come veniva professata durante il battesimo secondo il mandato di Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19)… “Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili” (cfr. n.5).
Affermazioni che hanno sottolineato quella “rivoluzione” nella Chiesa: una “formula”, un “credo” come punto di arrivo delle acquisizioni teologiche della Chiesa dei primi tre secoli del cristianesimo, elaborata in un “sinodo ecumenico” (lo ricordiamo: la “formula” sarà arricchita, successivamente, dalle verità scaturite dal Concilio Ecumenico del 381 di Costantinopoli).

E quella “ousia del Padre”, la “stessa sostanza” del Padre, “generato, non creato” (della stessa sostanza” (homooúsios), viene sottolineata da Papa Leone con parole chiare che ribadiscono la fedeltà alla Scrittura ed al principio dell’Incarnazione.
Al paragrafo 7, poi Papa Leone, ricorda come il Credo di Nicea
“professa la fede nel Dio che ci ha redenti attraverso Gesù Cristo. Si tratta del Dio vivente: Egli vuole che abbiamo la vita e che l’abbiamo in abbondanza (cfr. Gv 10, 10)”.
“Vero Dio e vero uomo” che, ricorda il Pontefice, nel credo è ricordato con quel verbo “descendit, “discese”.
San Paolo descrive con espressioni forti questo movimento: «[Cristo] svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2, 7)” (n.7).
Un Dio che è “disceso”, che si è “fatto vicino” e dunque:
“Il Credo niceno non ci parla dunque del Dio lontano, irraggiungibile, immoto, che riposa in sé stesso, ma del Dio che è vicino a noi, che ci accompagna nel nostro cammino sulle strade del mondo e nei luoghi più oscuri della terra”.
“Il Credo di Nicea ci invita allora a un esame di coscienza”: papa Leone invita ad una riflessione personale sulla fede, sulla testimonianza, sulla coerenza… un vero “itinerario” fatto di domande, di quei “punti di domanda” che “artigliano”, che a volte facciamo finta di non vedere, di non sentire, perché interrogarsi è “faticoso”, mette in “discussione”, costringe a “pensare”.
Professione di fede in Gesù Cristo, dunque “centro” della vita cristiana.
Il “sentiero” della “vita nuova”, della “vita in Cristo”.

Quel “sentiero” che dice il pontefice, è fatto di amore: “amore per Dio senza l’amore per il prossimo è ipocrisia; l’amore radicale per il prossimo, soprattutto l’amore per i nemici senza l’amore per Dio, è un eroismo che ci sovrasta e ci uccide”.
Una riflessione che ci sprona alla consapevolezza della testimonianza e della attualizzazione di quel “credo” di Nicea che dimostra tutta l’importanza per la Chiesa, in diversi aspetti: teologico, ecumenico, pastorale, storico, culturale… una unità di fede” professata e condivisa, una “parola” che viene “detta”, una fede “trasmessa e custodita”.
Una “fede” ed un “credo” che deve essere “raccontato”, “spiegato”, “messo” al centro della vita cristiana, che deve “entrare” in relazione con la vita.
Ricordiamo il Concilio di Nicea sicuramente per la formulazione del “credo”, ma non possiamo dimenticare quali altri apporti quel concilio ha dato per la datazione ed i canoni, per la Chiesa e la sua struttura,per la liturgia… dunque una “data” ed una “ricorenza” che dovrebbe interpellare i cristiani nella riflessione di quella “fede condivisa”, di quel “metodo sinodale” che apparentemente abbiamo riscoperto ma che ancora è “riservato” ad alcune piccole situazioni e che ancora facciamo fatica a condividere, al “contenuto” dell’evangelizzazione, della missione, del cammino consapevole, del contesto essenziale e necessario…

Papa Leone XIV con una accorta “supplica” che diventa una poesia-preghiera, invita a “riscoprire” il volto dell’ “ecumenismo”, la forza e vitalità santificante della Grazia dello Spirito Santo:
“Invochiamo dunque lo Spirito Santo, affinché ci accompagni e ci guidi in quest’opera.
Santo Spirito di Dio, tu guidi i credenti nel cammino della storia.
Ti ringraziamo perché hai ispirato i Simboli della fede e perché susciti nel cuore la gioia di professare la nostra salvezza in Gesù Cristo, Figlio di Dio, consostanziale al Padre. Senza di Lui nulla possiamo.
Tu, Spirito eterno di Dio, di epoca in epoca ringiovanisci la fede della Chiesa.
Aiutaci ad approfondirla e a tornare sempre all’essenziale per annunciarla”.
Spirito Santo, dunque, che anima e sorregge la comunità cristiana sulla via dell’unità della condivisione dell’anelito “universale” come
“segno di pace e strumento di riconciliazione contribuendo in modo decisivo a un impegno mondiale per la pace”.
E come lo stesso Pontefice ricorda in esordio della Lettera data al Mondo il 23 novembre, il suo secondo viaggio apostolico (Turchia e Libano), si svolgerà proprio tra qualche giorno (28 novembre) nella città turca di İznik, l’antica Nicea, in Turchia.
L’esortazione del Papa, dunque è quella di riflettere sulla propria fede e sulla fede delle comunità, su ciò che “unisce”, non puntare il dito su “ciò che divide”.
“In unitate fidei” sulla linea di “Ut unum sint” (Giovanni Paolo II) allora è un invito alla unità, per ritrovare, proprio in quel “credo” il “riferimento”.
Riflettiamo allora su quelle parole del pontefice: “un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali” e lasciamoci interpellare da quella che il pontefice chiama: “sfida spirituale”, che “chiede pentimento e conversione da parte di tutti”.
Il Pontefice non manca altresì di ricordare il “volto di Dio”, quel “volto misericordioso” che deve essere annunciato a tutti.
Un volto che deve animare la speranza, un Dio che
“Attraverso l’opera della redenzione, Dio non solo ha restaurato la nostra dignità umana come immagine di Dio, ma Colui che ci ha creati in modo meraviglioso ci ha resi partecipi, in modo ancor più mirabile, della sua natura divina (cfr. 2 Pt 1, 4).” (cfr. paragrafo 7).
La lettera invita alla sequela e alla consapevolezza che la salvezza è inseparabile dalla Croce e dalla carità, dall’incontro con i poveri, vita di fede, relazioni, vita quotidiana, solidarietà con gli ultimi:
“Il Credo niceno non ci parla del Dio lontano, irraggiungibile, immoto… ma del Dio che è vicino a noi, che ci accompagna nel nostro cammino… si fa piccolo, si spoglia della sua maestà infinita rendendosi nostro prossimo nei piccoli e nei poveri”.
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Teologia e pastorale devono incontrarsi.
Siamo chiamati alla responsabilità tutti: testimoniamo la fede.
Un “incoraggiamento” per tutti, da vero “padre”, non dimentichiamo che letteralmente la parola latina pontifex significa “costruzione di ponti”, il costruttore di “ponti” tra Cristo e i fedeli, tra “cielo e terra”.
L’invito dunque è “Riscoprire Gesù Cristo come “Maestro, compagno, fratello e amico”, ma anche come “il Signore… che per la nostra salvezza discese dal cielo”.
Impegno per ciascuno.


