(elisa moro) – Dopo l’intenso momento dell’ ingresso, nella Domenica delle Palme, di Cristo a Gerusalemme, si entra nell’apice del Mistero della Redenzione, nella Settimana Santa, e si intravede già la Risurrezione, luce nel buio dei dolori dell’umanità, ricapitolati in Cristo, che “non ha sottratto la faccia agli insulti” (Is. 50, 6), umiliandosi “fino alla morte di croce” (Fil. 2, 8).
Cristo è accolto come il Messia preannunciato dai profeti: “esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re” (Zc. 9, 9).
Egli entra pellegrino nella Città Santa, verso la totale vicinanza con Dio; non è la prima volta che percorre quella strada, ma vuole qui “istituire un modello di vita” (San Giovanni Crisostomo, Mt., hom. 66).
E’ in cammino verso la vertiginosa altezza della Croce, la “via alta”, vincendo la forza di gravità che imprigiona verso il basso.
Per percorrere questa nuova via dell’amore totale servono però passi nuovi, cuore nuovo.
Ecco l’episodio che la Liturgia propone nel Lunedì Santo: l’unzione di Betania (Gv. 12, 1 -11), caratterizzato da una simbologia interessante e fortemente collegata agli eventi successivi della Passione.
“Sei giorni prima della Pasqua” (Gv. 12, 1): il racconto dell’unzione di Gesù a Betania segna l’inizio dell’ultima settimana di Gesù, il principio della nuova creazione, che si concluderà nel nuovo giardino dell’Eden del mattino di Pasqua, nell’incontro con il Cristo, nuovo Adamo, vittorioso sulla morte. Maria di Betania, infatti, è la prima creatura che compie qualcosa, un gesto amorevole e concreto, per Gesù, ed Egli – secondo il racconto di Marco (Mc. 14, 3-9) – loda l’opera bella da lei compiuta: “Ella ha compiuto verso di me un’opera buona” (v.6).
La creatura, Maria, risponde all’invito d’amore del suo Creatore, ne imita il suo modello, segue i passi tracciati dal Maestro.
In questo gesto la creazione raggiunge la sua dimensione nuziale, il fine per cui è creata: essere risposta d’amore all’Amore del Creatore; per meglio dire, con le parole di Sant’Agostino “Amore amoris tui facio istuc – per amore del Tuo Amore faccio questo”, riprese poi nella famosa preghiera francescana “Absorbeat”.
Perciò giustamente il profeta Geremia così aveva descritto la nuova creazione sei secoli prima di Gesù:
“Il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l’uomo” (Ger 31,22).
“Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (v. 2-3): Durante la cena, Maria unge i piedi di Gesù con una libbra di profumo di puro nardo, corrispondente a, circa, 327 grammi.
Il nardo è un profumo molto prezioso che proviene dall’India. La qualità migliore cresce sulle pendici dei monti a 5.000 metri: viene dunque da lontano e da molto in alto, da vicino al cielo.
Soffermandosi sul profumo, occorre fare una precisazione.
Il profumo, in ebraico si pronuncia shemen, da shem, che significa “nome”.
Nel Cantico dei Cantici lo Sposo è chiamato profumo effuso (Ct 1,3). Il nome dunque, l’essenza stessa di Dio, è profumo, essenza che si spande.
Il profumo è simbolo del Dio Amore.
Ma di Amore donato si può solo morire, perché si ama fino a dare la vita.
Dio è Amore (1Gv. 4, 16), pienamente amante e amato nella Trinità; sulla terra effonde il suo profumo e vive ovunque vi è amore: “Ubi caritas est vera, Deus ibi est – dove l’amore è vero, Dio è presente”, così canta la Liturgia della Coena Domini, nel Giovedì Santo, proprio mentre si vive il gesto della Lavanda dei Piedi e dell’Istituzione dell’Eucarestia.
Il gesto di Maria, riprendendo le parole di Papa Benedetto XVI, “è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore. Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda. L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore” (29 marzo 2010).
“Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (v.7).
Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua “ora” si avvicina, quella in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio. Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge ad ogni credente, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: “Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore” (In Ioh. evang., 50, 6).