Dopo pandemia e stravolgimenti sociali ed economici che ne sono derivati, anche i nostri stili di acquisto e consumo sono cambiati.

Se ne accorgono soprattutto i piccoli produttori che basano la loro sopravvivenza sulla vendita nei mercati o in azienda: i mercati sono tutti in forte crisi, anche quello cittadino, storico, del venerdì mattina; alcuni rischiano addirittura di chiudere.

Che cosa è successo?

Ci siamo abituati alle consegne a domicilio a cui eravamo stati forzati in periodo di lockdown e ci appoggiamo sempre più alle grandi piattaforme che gestiscono il delivery?

Siamo ancora restii a muoverci in luoghi diversi per approvvigionarci dei vari tipi di cibi e preferiamo la grande distribuzione che ci permette di comprare tutto nello stesso posto?

Certo un peso nel modificare le nostre abitudini di acquisto lo ha avuto e lo ha tuttora il cambiamento delle forme di lavoro, in particolare la diffusione dello smart working, che limita la necessità di spostamento e concorre a “tenerci a casa”, anche per fare la spesa. E, altrettanto certo, l’attuale crisi economica, legata all’aumento dei costi energetici, e la conseguente inflazione riducono il potere di acquisto delle famiglie e costringono a scelte basate sul prezzo più che sulla qualità.

Ci sembra però importante – dice Patrizia Dal Santo, referente dell’associazione gruppi d’acquisto solidale Ecoredia –, oggi più che mai, riaffermare il senso di un consumo consapevole, che sostenga i piccoli produttori locali che, con il loro lavoro, custodiscono il territorio e lo rafforzano, rendendolo più capace di affrontare gli eventi estremi dovuti al cambiamento climatico. Acquistare locale significa ridurre i consumi energetici per la conservazione nei grandi magazzini e al trasporto del cibo, accedere a cibi stagionali e freschi che sono alla base di un’alimentazione sana, sostenere l’economia locale, mantenendo sul territorio un tessuto di saperi, capacità imprenditoriali e ricchezza, che tendono a essere soffocati dalla grande distribuzione. Con i nostri consumi possiamo contribuire a diminuire l’impatto sul clima, riducendo il consumo di carne (costosa per il portafoglio e per il clima!) e aumentando quello di legumi, cereali, frutta e verdura, quando possibile a km 0: cibi a basso impatto e più accessibili”.

A Ivrea ci sono due realtà importanti: l’Altromercato dello Zac!, al Movicentro, ogni secondo e quarto sabato del mese, al mattino, e conta una ventina di produttori locali di pane, formaggi, frutta, verdura, carni e conservati; e il mercato delle Eccellenze Canavesane, in piazza Freguglia il primo e il terzo sabato del mese.

Ma ci sono anche le aree dei produttori locali nei mercati cittadini del Foro Boario, il martedì e il venerdì, e del quartiere San GratoBellavista, il sabato.

Riprendiamoci il tempo e la voglia di frequentare i mercati dei produttori e di farci raccontare da loro il senso del lavoro che fanno – conclude Dal Santo –. Riflettiamo sull’importanza che ha un semplice gesto, come fare la spesa, per il territorio in cui viviamo e per il futuro che vogliamo!”.

A proposito: sabato 12 novembre, oltre ai banchi consueti, l’Altromercato ha avuto come “ospiti speciali” il banco di zucche dell’azienda Isola Larga di Bollengo e le uova della Cascina Barbassa di Quincinetto.

Redazione Web