Si sono svolti il 24 settembre nella chiesa eporediese di San Giovanni Battista i funerali di don Giuseppe Scapino, 78 anni, mancato giovedì scorso dopo lunga malattia.

Gremita la chiesa del popolare quartiere eporediese (di cui don Beppe era parroco dal 1979, dopo l’ordinazione nel 1968 e gli studi universitari a Lovanio) e folta la rappresentanza del presbiterio diocesano alla Messa esequiale presieduta dal Vescovo Edoardo e concelebrata dall’emerito monsignor Luigi Bettazzi, che lo aveva ordinato prete e lo ebbe come segretario e che nell’omelia lo ha ricordato con toni e parole personali e toccanti.

Il ricordo di Don Gianmario Cuffia, vicario generale

Liberi e fedeli in Cristo” era il titolo di un noto manuale di teologia morale, scritto da padre Bernard Häring, testo base per lo studio di generazioni di seminaristi negli ultimi cinquant’anni.

Mi è tornato in mente quel titolo proprio pensando alla testimonianza sacerdotale di don Beppe Scapino: non ho potuto salutarlo nel giorno del definitivo commiato, ma ho presieduto la veglia funebre a Caluso, suo paese natio, grazie alla disponibilità del parroco don Loris.

In effetti, credo davvero che nella sua vita sia emersa una singolare sintesi di libertà e fedeltà, evidente nel suo servizio alla nostra diocesi.

Non è facile tenere insieme in un’unica esperienza sacerdotale due atteggiamenti così diversi.

Il rischio di una libertà che porti ad atteggiamenti di rottura con l’istituzione ecclesiale era reale per molti preti ordinati negli stessi anni in cui don Beppe iniziò il suo ministero.

All’opposto, il rischio di una fedeltà passiva, che archivia l’intelligenza e la libertà, è sempre dietro l’angolo, in ogni tempo.

In don Beppe abbiamo contemplato la libertà di ricerca, di studio, di analisi e di interpretazione, animata dall’intelligenza di chi non rifugge dalle provocazioni della storia: talora l’esprimeva anche in termini critici verso un magistero ecclesiale che riteneva troppo lento o eccessivamente prudente.

Le pagine del settimanale diocesano da lui diretto dal 1994 al 2002 costituiscono la prova scritta di questi atteggiamenti. Ma tale libertà non è mai diventata un rifiuto della gerarchia ecclesiastica, al cui servizio don Beppe ha posto le sue energie, anche quando la salute iniziava a declinare: lo dimostrano il preciso e rigoroso servizio come Cancelliere della Curia vescovile (dal 1979 al 1988), come membro del Consiglio Presbiterale e, infine, come membro del Collegio dei Consultori, un incarico affidatogli dal nostro Vescovo Edoardo.

Anche la fedeltà con cui ha vissuto il ministero di parroco a San Giovanni di Ivrea, per oltre trent’anni, è prova della sua umile e perseverante comunione con il cammino ordinario della Chiesa. Credo che a questa ben riuscita sintesi di libertà e fedeltà abbia contribuito la sua consapevole appartenenza a due mondi diversi: Caluso e Ivrea.

Nel primo ambiente aveva respirato l’aria pura della spiritualità “contadina”, nel secondo gli stimoli innovatori di una società “cittadina”: don Beppe ha saputo armonizzare nella sua coscienza gli elementi positivi dell’una e dell’altra esperienza, senza mai rinnegarne una a favore dell’altra.

Gli siamo grati per questa testimonianza, e siamo fiduciosi che troverà generosa ricompensa in quel luogo dove non è più lutto, né dolore, né pianto, ma soltanto pace e gioia.

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È difficile e doloroso salutare per l’ultima volta don Beppe Scapino, direttore di questo giornale per otto anni a cavallo tra i ’90 e i 2000. Eravamo molto più giovani, e la frequentazione pressoché quotidiana con lui ha contribuito non poco alla nostra crescita: professionale, certo, ma anche e soprattutto umana.

Di Beppe (il “don” era espunto, in redazione) abbiamo imparato a conoscere e apprezzare la vasta cultura, l’affilata intelligenza, l’asciuttezza e il rigore dei ragionamenti da cui discendevano comportamenti consequenziali.

Aveva idee, la capacità di sintesi per esprimerle con poche, efficaci (a volte ruvide) parole, il coraggio di sostenerle: mai è sfuggito al confronto.

Abbiamo conosciuto e riconosciuto in lui alcune delle doti fondamentali che un direttore di giornale (e, invero, chiunque abbia ruoli di vertice) dovrebbe possedere: lealtà, desiderio di cooperare, capacità di delegare, assunzione di responsabilità – nella fattispecie rispetto a tutto ciò che veniva pubblicato sul “suo” Risveglio, eventualmente facendosi carico anche di nostre castronerie –.

E nella reciproca frequentazione abbiamo scoperto anche la sua spiritualità, mai ostentata (non era certo nel suo carattere), ma solida e profonda.

Molto altro si potrebbe dire, ma sono cose che attengono alla sfera privata di ciascuno.

Qui e ora basterà un ultimo, commosso quanto riconoscente: “Ciao Beppe, grazie di tutto”.