(Fabrizio Dassano)

Mentre sono in attesa del vaccino osservo il tragico deteriorarsi dello stato d’animo dei condòmini della zona. I palazzi sono immobili come se una bonaccia di terraferma bloccasse tutto. Si esce solo per andare a lavorare e per fare la spesa. Poi tutto resta sospeso. In attesa.

Questo clima è molto simile alla bonaccia che fermava i vascelli ai tempi della navigazione a vela. Nell’analogia di questo stato d’animo vi racconto “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge, scritta nel 1789. Il vecchio marinaio racconta la sua storia ad un convitato durante una festa. La sua nave è sospinta da una tempesta verso l’Antartide e rimane intrappolata dai ghiacci. I marinai sono terrorizzati quando un grande albatros si posa sul ponte e viene accolto come un segno di speranza: tutti gli danno da mangiare. Assurdamente il vecchio marinaio lo uccide con un colpo di balestra. Mentre è assalito dal rimorso il vento fa ritorno e gonfia le vele del vascello che prende il largo.

I marinai allora cambiano idea sul vecchio marinaio, diventandone moralmente complici. Giungono all’Equatore quando per un’improvvisa bonaccia il veliero è bloccato sotto il cocente sole di mezzogiorno, nelle acque ferme e arroventate. Nel mare compaiono orribili mostri. Non vi è più acqua a bordo e ora la ciurma incolpa il vecchio marinaio per la disgrazia creatasi, arrivando ad appendergli al collo il cadavere dell’albatros. Il vecchio marinaio scorge una nave: inizialmente esultanti, i marinai vengono presi dallo sgomento perché è impensabile che una nave possa muoversi senza né vento né corrente. Si tratta di un vascello fantasma e gli unici passeggeri sono la Morte e una donna, impegnati in una partita a dadi, quest’ultima con gli occhi audaci, le labbra rosse, e i capelli biondi ma con la pelle bianca come la lebbra. I due stanno scommettendo sull’intero equipaggio: la Morte gioca per la condanna a morte di tutti mentre la donna (Vita-in-Morte) gioca e vince per la sopravvivenza del vecchio marinaio.

Tutto l’equipaggio muore, non senza aver prima maledetto il vecchio marinaio. In mezzo ai cadaveri comprende che il suo destino è peggiore della morte. Dopo sette giorni vede i mostri marini senza più orrore, provando felicità nella loro bellezza e il suo cuore è colmo di amore e prega. Dio, impietosito da questo gesto d’affetto, interrompe il maleficio della Vita-in-Morte: il cadavere dell’albatros si stacca dal collo e precipita negli abissi. La Santa Vergine nel frattempo invia al marinaio un sonno ristoratore. Al risveglio sta piovendo: le labbra sono umide di pioggia, i vestiti fradici, e finalmente può bere. Un gruppo di spiriti angelici penetra i corpi morti dei marinai e ognuno torna a svolgere la propria mansione. All’alba tutte le anime si raccolgono intorno all’albero maestro e intonano al cielo un melodioso canto.

La nave viaggia a velocità sovrumana e il vecchio marinaio perde i sensi: non ricorda nulla, se non di aver udito dire: «È lui l’uomo che con la crudele balestra abbatté l’Albatro innocente?» e «L’uomo ne ha già fatto penitenza, e altra penitenza ha da fare». Le voci sono dello Spirito Polare che ha vendicato l’albatros. Ben presto il vascello approda nel suo paese natale, in cui egli riconosce la chiesa, la baia, la collina. La sua eccitazione è talmente viva e inaudita da indurlo a pregare che non si tratti di un sogno. Intanto, i corpi dell’equipaggio cessano di essere animati. Giunge una barca con a bordo un eremita che intona inni sacri, e spera sia in grado di assolverlo dal peccato commesso. Quando accosta alla scialuppa dell’eremita, il vascello affonda.

Il vecchio marinaio si trae in salvo e chiede all’eremita di assolverlo dai suoi peccati, narrando la sua storia. Narrata la sua storia al convitato, il marinaio si sente sollevato e gli rivela che ogni volta che sente la sua anima angosciata, vaga per narrare la sua avventura, cercando ovunque un interlocutore che possa dargli ascolto.

Suggerito al convitato di rispettare tutte le creature amate da Dio, il vecchio marinaio lascia la festa. Il convitato se ne va, sbigottito, svegliandosi il giorno successivo più triste ma più saggio.