(Mario Berardi)

Gli ex alleati del governo giallo-verde, vincitori delle elezioni politiche del 2018, hanno svoltato contestualmente verso posizioni moderate, ovvero verso il centro: Lega e M5S, messi ai margini dal Governo Draghi, hanno abbandonato il sovranismo e la contestazione antieuropea per assumere una piena dimensione istituzionale.

I Pentastellati hanno rotto con la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio, hanno abbandonato il “vaffa” delle origini e ora, sotto la guida di Giuseppe Conte, si preparano ad un nuovo ciclo politico, come ha dichiarato l’ex premier al “Corriere della Sera”. Alleati del Pd nel centro-sinistra, ma non subalterni; leali al premier Draghi senza rinunciare alle proprie tesi, soprattutto sulla giustizia; espressione dei ceti popolari del Sud (di qui la difesa del Reddito di cittadinanza) ma non insensibili alla borghesia produttiva del nord; in Europa, decisi a confermare il sostegno alla presidente Ursula von der Leyen. In termini politici, siamo di fronte a un partito di centro alleato alla sinistra, lontano mille miglia dallo spirito anti-istituzionale del fondatore Beppe Grillo.

Sull’altro fronte la Lega di Salvini ha di fatto imboccato la linea del ministro Giorgetti che punta a una formazione alleata dei Popolari della Merkel, lasciando l’ingombrante alleanza con Marine Le Pen. Grandi elogi a Draghi giungono da parte dello stesso Salvini (che ha ormai dimenticato i duri attacchi al Presidente BCE), mentre il sostegno alla piccola e media industria della Padania si accompagna all’accantonamento delle tesi scissioniste di Umberto Bossi.

Secondo alcuni politologi la proposta di Federazione con Forza Italia è strumentale per fermare l’avanzata della Meloni; certamente la rivalità con Fratelli d’Italia è importante, ma il disegno di Giorgetti e di Berlusconi, nonostante i forti contrasti interni, è quello di dare vita a una nuova formazione “moderata” che gestisca il dopo-Draghi, a prescindere dalla scelta per il Quirinale e dalla linea di opposizione della stessa Meloni. A sua volta Salvini ha “cavalcato” la novità per non restare schiacciato tra l’intransigenza di Fratelli d’Italia e la spinta dei leghisti “di governo” (non solo Giorgetti e Garavaglia, ma anche importanti Governatori, da Zaia a Fontana).

Le novità degli ex sovranisti sono il frutto della mutata realtà di governo perché stanno per giungere i massicci investimenti del Recovery-plan, insieme alle ripartenze sociali determinate dal forte calo dei contagi, conseguente al successo delle vaccinazioni. In questo clima (in cui anche la Confindustria prevede un incremento del Pil al 5%) che senso avrebbe restare sull’Aventino? Le forze politiche, piuttosto, puntano ad emendare alcuni interventi del Governo: il Pd, che ha incontrato i segretari Cgil-Cisl-Uil, insiste per attenuare lo sblocco dei licenziamenti, trovando una sponda nello stesso ministro dello Sviluppo economico Giorgetti (che ha proposto tempi più lunghi nei settori in crisi, come il tessile, la moda…).

I 5Stelle lavorano per attenuare, nella politica della giustizia, la linea iper-garantista del referendum proposto dai Radicali e dalla Lega; analogamente Letta insiste per riforme istituzionali che tengano conto del nuovo contesto politico.

In particolare si ritorna a parlare del sistema elettorale: il maggioritario va molto stretto all’accoppiata Salvini-Meloni (separati in casa) e allo stesso Berlusconi, valutato nei sondaggi al 7-8%; d’altro lato i Pentastellati cercano un’intesa politica con il Pd, ma nell’autonomia e senza primogeniture. La stessa vicenda delle elezioni amministrative lo conferma: il centrodestra è ancora in alto mare nella scelta per Roma e Milano; sembra quasi che ci sia la gara a bruciare le candidature forti, per evitare che Salvini o la Meloni possano avvantaggiarsi dell’eventuale successo.

Nel centro-sinistra l’alleanza tra Pd e M5S è ferma al solo Comune di Napoli, come se l’accordo Letta-Conte fosse una scelta tattica “romana”.

In ogni caso, il passaggio da Conte a Draghi ha reso deboli entrambe le coalizioni perché le esigenze drammatiche del Paese sono emerse prioritarie per tutti: nei fatti è prevalsa la linea Mattarella dell’unità nazionale. Per i paradossi della politica la corsa al centro sta avvenendo mentre sono in crisi tutti i leader centristi, da Calenda a Renzi, da Totti a Casini.

La fase eccezionale dell’unità delle Istituzioni non è infatti una scelta “geografica” ma un dovere verso il Paese, duramente provato dalle crisi sanitaria, sociale, economica. Il voto politico del 2023 guarderà anzitutto alla capacità e all’impegno con cui i singoli partiti avranno contribuito alla ripartenza e alla ricostruzione.