(Fabrizio Dassano)

L’inconveniente della pioggia nella giornata di martedì ci ha fatto ricordare che non si vive di solo sole. Domenica scorsa, al mattino presto, i pochi fortunati svegli fin dalle 6 avevano invece avuto la ventura di ammirare un ormai raro fenomeno: la nebbia.

A ottobre, quando alle elementari ti insegnavano la poesia del Carducci “San Martino”, quella in cui “la nebbia piovigginando sale…”, ti si stringeva il cuore perché non avresti visto più nient’altro per il resto dell’autunno e dell’inverno. Scendeva l’ovatta visiva e anche i suoni erano attutiti, il mondo esterno si faceva da parte, celato dalle nebbie che si attaccavano ai vestiti sotto forma di minuscole goccioline d’acqua. Una dimensione che poi con il tempo e il cambiamento climatico è quasi scomparsa.

La nebbia era la bestia nera degli automobilisti e le cronache raccontavano di paurosi incidenti. Al contrario, ai contadini non dispiaceva troppo perché se c’era la nebbia, durante la notte non ci sarebbe stata la gelata. Era anche un lenzuolo protettivo dei campi oltreché del tempo, che con la nebbia rimaneva sospeso.

La nebbia, tutto quell’umido volante nell’aria, lo si contrastava con il “putagè” acceso e guardando fuori dalla finestra per vedere quanto essa riusciva a cambiare la veduta del cortile e i colori accesi delle foglie d’autunno che apparivano e scomparivano. Poi alzando lo sguardo alla ricerca di dove potesse essere il sole, esso appariva per un istante col suo disco luminoso, fugace perché presto la nebbia tornava ad essere spessa e tutto ripiombava nella dimensione nebulizzata.

La sensazione è ben rappresentata dalla scena di meno di due minuti realizzata da Federico Fellini in “Amarcord”, allorquando il nonno si perde nella nebbia davanti a casa sua: “Dov’è che sono? Mi sembra di non stare in nessun posto. Ma se la morte è così, non è un bel lavoro. Sparito tutto: la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino…”; e quando il carrettiere sopraggiunto gli dice che casa sua è proprio lì davanti, lui sollevato va verso il cancello e incontra il nipote che esce di casa: “Ma dove vai con questa nebbia?” “A scuola! Ciao, nonno”.
Ci affidiamo ancora ad un altro regista per raccontarvi della nebbia. Racconta Ermanno Olmi che non riusciva a trovare il set ideale, la cascina, per il suo film “L’albero degli zoccoli”.

La trovò dopo lunghe ricerche e solo per caso, mentre stava ritornando deluso “da un giro pomeridiano per la campagna tra Martinengo, Cividate e Palosco” e si perse nella nebbia fitta e percorrendo in auto un viottolo a fondo cieco, finì proprio davanti ad un cancello chiuso. Era solo; scese per rendersi conto di dove potesse essere finito e si accorse di trovarsi davanti ad una tipica cascina lombarda abbandonata che ricordava la cascina della sua giovinezza e pianse per la commozione.

Quella fu la cascina che avrebbe scelto per girarvi tutto il film: in cui la nebbia ha un ruolo da coprotagonista.