Gesù racconta una delle parabole più spiazzanti e attuali: quella del fariseo e del pubblicano. Due uomini salgono al tempio, due modi opposti di stare davanti a Dio, e forse davanti alla vita.
Il fariseo recita la sua preghiera quasi fosse un curriculum spirituale. Elenca le sue virtù, confronta, giudica. Non dialoga con Dio: si autocelebra, pensa a se stesso. È già pieno di sé, e dove c’è già tutto pieno, Dio non può entrare. La sua figura è la rappresentazione di chi crede che la fede sia un merito da esibire, un distintivo che legittima il disprezzo verso gli altri.
Il pubblicano, invece, non ha nulla da mostrare. Si ferma lontano, non osa neppure alzare lo sguardo, trova il coraggio di dire la verità su se stesso, riconosce il proprio limite e chiede misericordia. Non finge, non si giustifica, non si confronta. Si affida. La sua povertà è la porta attraverso cui Dio entra.
E Gesù spiazza tutti: a tornare “giustificato” è il pubblicano, cioè colui che riconosce la propria fragilità. E qui si ribalta la prospettiva: è la logica del Vangelo, così lontana da quella del mondo. In una società che spinge a mostrarsi impeccabili, Gesù ci invita a guardarci dentro con onestà, a mettere da parte la nostra maschera e a lasciarci amare così come siamo.
Questa parabola è un colpo di luce. Dice che Dio non si lascia impressionare dai titoli morali né dalle apparenze. L’umiltà, che nel linguaggio di oggi potremmo chiamare autenticità, diventa misura della fede. La nostra preghiera è dialogo d’amore o elenco di ciò che facciamo? L’umiltà non è debolezza, è verità. È riconoscere che siamo creature amate, peccatori perdonati, mendicanti della grazia. La nostra povertà non è un ostacolo alla grazia, è la porta. Dove noi finiamo, lì comincia Dio.
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


