Il Vangelo di questa domenica ci presenta una storia che – come sempre – scuote le nostre coscienze e illumina il nostro cuore.
Gesù non ci racconta questa parabola per spaventarci con la minaccia dell’inferno, ma per rivelarci dove si trova la vera gioia: nella fedeltà al suo amore. Il ricco non è condannato perché possiede beni, ma perché ha chiuso il cuore alla compassione, vivendo come se Dio non esistesse. Lazzaro, invece, nella sua povertà e sofferenza, ha mantenuto la fiducia nel Signore.
Chiediamoci allora: cosa significa per noi quotidianamente essere fedeli a Cristo? Come cambia la nostra vita restando uniti a Lui? La gioia eterna non è una ricompensa che si guadagna con le opere, quasi a voler mercanteggiare con Dio, ma un dono che nasce dall’amore gratuito di Dio per chi rimane unito a Lui.
Il ricco aveva tutto, eppure era povero nell’anima; Lazzaro non aveva nulla, ma era ricco di speranza. Dove cerchiamo noi, ogni giorno, la nostra felicità? Nei beni che passano o nell’amore che rimane per sempre? Dove possiamo scorgere oggi il volto di Cristo nel prossimo che soffre e ha bisogno del nostro aiuto?
Non aspettiamo miracoli straordinari per convertirci: Cristo stesso è la Parola vivente che si offre a noi ogni giorno.
Mentre il ricco si appellava ancora a Mosè e ai Profeti, noi abbiamo l’unico e definitivo riferimento: Gesù Cristo, Parola fatta carne. Ascoltiamo davvero Lui che ci chiama alla conversione attraverso la sua vita, morte e risurrezione?
La gioia del Paradiso inizia già qui, quando scegliamo di seguire Cristo, facendoci prossimi di ogni Lazzaro che incontriamo sulla nostra strada. Abbracciando Lazzaro, abbracciamo Gesù, facendoci Lazzaro “diventiamo” Gesù.
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti.
Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.