Foto: Filanda tra Sette e Ottocento

Nel corso dell’Ottocento, il Piemonte vide un significativo sviluppo dell’industria siderurgica e meccanica, diventando un centro nevralgico dell’industrializzazione italiana, in particolare con la nascita del primo Triangolo Industriale (Torino, Milano e Genova). È in quest’area che tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo prese piede l’industrializzazione su larga scala dell’economia italiana. L’industrializzazione era finanziata dalle due banche universali di modello tedesco, la Banca Commerciale Italiana ed il Credito Italiano. La politica di questi istituti di credito era quella di spingere i gruppi industriali da loro finanziati verso un processo di concentrazione di modello tedesco, che, oltre alla concentrazione verticale delle diverse fasi produttive, comprendeva anche una concentrazione territoriale. Fu tale dinamica che portò alla nascita del triangolo industriale del Nord-Ovest, in cui gruppi come Fiat, Ansaldo e Breda fecero crescere le rispettive città, trasformandole in metropoli industriali.

Tra il Sette e l’Ottocento la situazione era differente, la produzione era di tipo preindustriale: un esempio è la fucina da rame di Ronco Canavese, oggi Ecomuseo del Rame. In questa fucina, la cui datazione risale al 1675, è possibile ripercorrere le antiche fasi della lavorazione del rame secondo le tecniche siderurgiche del periodo pre-industriale, quando gli altiforni funzionavano a carbone di legna e l’energia per il movimento dei macchinari era ad acqua. La produzione era di manufatti in rame d’uso quotidiano nelle attività contadine tradizionali: mungitura, preparazione di burro e formaggi. La post-produzione era rappresentata dai “magnin”, i calderai itineranti tipici della Valle Soana, che partivano alla ricerca di pentole e paioli da riparare, percorrendo le valli e le pianure di qua e di la delle Alpi.

La situazione piemontese la si evince dai dati della Statistica Generale ordinati agli Intendenti delle province degli Stati Sabaudi del 7 marzo 1750. Vennero censite le fucine da ferro, i martinetti da ferro e i magli da Rame esistenti. Le prime,159 in tutto il Piemonte, in numero di 21 erano presenti in provincia di Ivrea, 14 in quella di Biella e 6 in quella di Vercelli.

I martinetti da ferro erano 73 nel Biellese e 43 nell’eporediese, nessuno nel Vercellese. I magli da rame 1 nel Biellese, 4 nell’eporediese. Osservando la statistica si nota l’assenza pressoché totale di stabilimenti in Torino perché era il risultato dell’utile consuetudine di collocare le officine sia presso le miniere, sia in prossimità dei boschi, da dove proveniva il carbone di legna per le fusioni e infine, lungo i corsi d’acqua per la disponibilità di forza motrice. Torino restava il principale mercato di consumo.

Nel 1742 vi operavano 21 mercanti di ferro, 10 montatori di armi, 29 ottonari e fonditori di metalli e 16 tollari (lattonieri). Erano privati, piccoli industriali e commercianti ad esclusione della grande committenza rappresentata dagli Arsenali e Fabbriche d’armi dello Stato che operavano nella capitale.

La siderurgia piemontese alla metà del ‘700 era l’unico settore emancipato dalla produzione di piccolo mestiere per evolvere in tipo industriale. Il moltiplicarsi delle imprese pre-capitalistiche, tutelato dalla protezione governativa nel settore metallurgico, fu anche la conseguenza delle ragioni tecniche che determinavano l’impossibilità di organizzare il lavoro a domicilio, come invece avveniva per il tessile, per esempio. Altro elemento che favorì questa prima rivoluzione industriale piemontese fu la dimensione stessa dei capitali occorrenti per l’esercizio di stabilimenti siderurgici, la necessità di mano d’opera specializzata proveniente dall’estero.

Nel 1740 Carlo Emanuele III concedeva ad una società inglese il privilegio di coltivare per 40 anni le miniere della Savoia con scarsi risultati che fecero emergere l’esigenza di creare un’industria nazionale.

Nel 1749 il capitano d’artiglieria, cavaliere Nicolis Di Robilant con i quattro cadetti Ponzio, Bussoletti, Fontana e Vallino, vennero inviati a spese dello Stato, alle scuole di Freyberg e di Lipsia in Sassonia per “praticarsi nelle miniere e nelle raffinerie”.

Il Di Robilant, dopo aver visitato e studiato miniere e fonderie della Sassonia, della Turingia, dell’Hannover, della Boemia e dell’Alta Ungheria, tornava in patria nel 1752. Nominato Ispettore generale delle miniere, attivò in un locale dell’Arsenale la prima Scuola di mineralogia, inaugurata il 13 aprile 1752. Durante la missione Di Robilant, il re inviò il professore di botanica e storia naturale Vitaliano Donati ad esplorare e censire i giacimenti della Valle d’Aosta. Ne conseguì che gli imprenditori avrebbero lavorato direttamente per la Regia Finanza: oro e rame ad Alagna, ferro a Valbella, rame ad Andorno, piombo e argento a Sessera, rame e manganesio a Pré St. Didier e Challant, rame in Valle di Lanzo e zolfo di Tortona.

La nazionalizzazione durò fino al 1771 quando vennero nuovamente concesse ai privati per via del disavanzo disastroso che aveva raggiunto le 706.000 lire piemontesi a fronte di un utile in vent’anni di 2.092.700 lire piemontesi, indicativo di un modesto risultato.

Esistevano precedentemente la nazionalizzazione, alcune miniere condotte dai privati che producevano materiale pregiato con buon risultato: quelle di ferro a Brosso, Valdieri, Aisone, Vinadio; quelle di rame e piombo di Valpellina, Entracque, Balangero, Corio, Mathi; quella d’oro a Macugnaga. Ma il protezionismo di Stato non era bastato a far decollare l’industria metallurgica, infatti nel 1752 i dati indicano un’importazione di materiali di metalli per 782.608,5 lire piemontesi (oggi € 3.656.732,61) a fronte di un’esportazione dei medesimi pari a 26.722 lire piemontesi (oggi € 124.858,45), dato fortemente compensato dalla grande esportazione di tessile.

Nel 1730 il carbon fossile iniziò a sostituire il carbone di legna svincolando gli stabilimenti dai boschi, la macchina a vapore introdotta nel 1770, li svincolò dai corsi d’acqua. Nel 1784 fu inventato un nuovo forno per la ghisa. Queste novità si estesero lentamente.

Nella prima metà dell’Ottocento l’industria siderurgica piemontese e specialmente valdostana era basata sulla produzione della ghisa all’alto forno a carbone di legna, a bassa resa che non superava le 100 tonnellate alla settimana per pochi mesi l’anno, mentre un altoforno inglese alimentato a coke, produceva 50 tonnellate al giorno. Il problema per il Piemonte, oltre alla scarsità di minerali esistenti era la quasi assoluta mancanza di carbon fossile, e questa fu una delle cause della scarsità di macchine a vapore e della dipendenza energetica esterna che venne accentuata con il grande sforzo di realizzazione delle reti ferroviarie.

La prima macchina a vapore piemontese fu costruita dai fratelli Benech, ambedue ingegneri, a Torino nel 1840. Un esemplare da 20 cavalli vapore fu destinata al mulino di Chieri, e una da 4 cavalli vapore per la fonderia Biolley di Borgo Dora. Le ferrovie furono profondamente sviluppate dallo Stato tra il 1848 e il 1859 realizzando il primato rispetto agli altri stati pre-unitari e realizzando gli itinerari strategici coincidenti con gli interessi politici del Risorgimento.

Nel 1837 una società di finanzieri e commercianti genovesi richiese alla Commissione speciale per le linee ferroviarie, un collegamento tra Genova e Pavia e poi da qui Alessandria, il Lago Maggiore e Torino. La Commissione rivelò l’incongruenza della linea di Pavia, che avrebbe favorito la Lombardia austriaca e consigliò che fosse lo Stato a proporre la linea ferroviaria più conveniente, secondo lo jus viarium supremum, da cui ne uscì la costruzione simultanea della Torino, Alessandria, Genova e da Alessandria la diramazione Lomellina, Novara, Lago Maggiore.

Nel 1853 Cavour, allo scopo di liberarsi dalla dipendenza tecnologica dell’Inghilterra, favorì la nascita dell’Ansaldo a Sanpierdarena, industria meccanica che avrebbe avviato anche la fabbricazione di locomotive e materiale ferroviario. Risor-gimento e industrializzazione ormai marciavano a braccetto.

Sezione di miniera

I disegni sono tratti da: Nuova enciclopedia popolare ovvero dizionario generale di scienze, lettere, arti, storia, geografia ecc. Giuseppe Pomba e Comp, Editori, Torino 1849.
Le notizie sono tratte da: Mario Abrate, L’industria siderurgica e meccanica in Piemonte dal 1831 al 1861, Museo Nazionale del Risorgimento, Torino 1961