(elisa moro) –  «Signore, è bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).

La gloria divina che si rivela agli uomini attraverso Gesù Cristo, richiamo alla speranza della risurrezione: questa è la festa liturgica della Trasfigurazione, celebrata con profonda devozione sia nel mondo cattolico sia in quello ortodosso. 

All’interno del Nuovo Testamento, la Trasfigurazione di Gesù, che può essere letta in totale contrapposizione con l’episodio del Getsemani (che vede peraltro gli stessi testimoni oculari) viene descritta nei Vangeli di Matteo (17,1-9), Marco (9, 2-10) e Luca (9,28-36), definiti comunemente sinottici; si trova, inoltre, nella Seconda lettera di San Pietro (2 Pt 1,16-19), dove l’Apostolo si definisce “testimone della sua grandezza”.

Nel Vangelo di Matteo, si legge dettagliatamente di questo evento miracoloso, avvenuto su “un monte” non precisato, prefigurazione della gloria della risurrezione: “Egli fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole, e le sue vesti divennero candide come la luce” (Matteo 17,2).

Sant’Agostino spiega, nel Discorso 78, che i suoi vestiti sono la sua Chiesa. “Se i vestiti non fossero tenuti ben stretti da colui che l’indossa, cadrebbero. Che c’è di strano se mediante il vestito bianchissimo viene simboleggiata la Chiesa, dal momento che sentite dire dal profeta Isaia: Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, lì farò diventare bianchi come neve (Is 1, 18)?. Dunque anche se i peccati commessi dagli uomini di Chiesa fossero di colore rosso scarlatto, la sua Sposa avrebbe comunque un abito candido e rilucente grazie al Sole, Cristo”.

La presenza di Mosè ed Elia, citata in tutti e tre i brani sinottici, sottolinea la continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, unendo la legge e i profeti con la realizzazione della promessa messianica in Cristo, che apre le porte alla vera speranza, come ricorda uno dei Padri della Chiesa, San Giovanni Crisostomo:

“Quando vediamo la trasfigurazione di Cristo, vediamo la nostra speranza di essere trasfigurati. La luce che circonda Cristo non è solo un riflesso della sua divinità, ma è un segno che la nostra vita può essere trasformata, che noi stessi possiamo partecipare alla sua gloria” (Omelia 56).

Una festa “ponte”, non solo per l’unione tra l’antica storia del popolo d’Israele e la salvezza attuata in Cristo, ma anche perché celebrata, seppur con abitudini e tradizioni differenti, sia nella Chiesa d’occidente che d’oriente.

Per gli Orientali la Trasfigurazione rappresenta la Pasqua dell’estate per l’importanza tipologico-biblica dell’avvenimento ricordato dai vangeli.

Per sottolineare questo carattere di rinascita vengono portati dei doni, in particolare frutta, che vengono offerti e benedetti, come segno di gratitudine verso Dio, anche se tale pratica ha origine nell’antichissima tradizione della decima alla Chiesa, che veniva poi ridistribuita ai poveri.

Nella trasfigurazione sul “monte santo” (2 Pt 1,18), individuato per tradizione nel Tabor, Gesù si manifesta ai discepoli nello splendore della vita divina che è in lui.

Questo splendore è solo un anticipo di quello che lo avvolgerà nella notte di Pasqua e che comunicherà ad ogni fedele, rendendolo figlio nel Figlio, a Sua immagine.

La teologia ortodossa vede così nella Trasfigurazione una rivelazione della divinità di Cristo, ma anche un richiamo alla trasformazione dell’essere umano attraverso la partecipazione alla grazia divina.

Secondo il teologo ortodosso San Gregorio Palamas, la Trasfigurazione è la rivelazione del “raggio increato” della divinità, un’esperienza di luce che non è solo simbolica, ma reale, un riflesso della “energia divina” che trasforma il mondo e l’essere umano e che Cristo ha permesso, a quei pochi testimoni presenti, “di vedere e contemplare”.

Particolarmente allusiva è l’antifona alla Comunione che viene cantata nella Divina Liturgia ortodossa il giorno della Trasfigurazione: ìdomen tò phòs (abbiamo visto la luce), sottolineando come, nella Santa Messa, questa luce rifulga comunicando con il Risorto, vivo e presente, e rendendo gli stessi fedeli veri testimoni dell’evento, come i tre Apostoli del Tabor.

Analogamente, anche nel mondo cattolico, si celebra la festa in cui Cristo conduce i discepoli a volgere lo sguardo più lontano, “per preparare i suoi a sostenere lo scandalo della croce e anticipare, nella Trasfigurazione, la meravigliosa sorte della Chiesa” (dal Prefazio).

L’accento viene allora posto sul mistero escatologico, del destino e compimento finale, ultimo, dell’intera umanità.

Contemplando la gloria anticipata della futura Risurrezione, come affermava Papa Benedetto XVI:

“la Trasfigurazione è il segno della speranza che la nostra vita sarà trasformata e noi stessi risplenderemo della stessa luce che irradia dal Cristo risorto. Essa non è solo un segno di gloria futura, ma anche una promessa che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola” (19/06/2006).

Nell’Anno Santo in cui la Chiesa pone l’accento sulla Speranza, la festa della Trasfigurazione “ci invita” ricordava Papa Francesco (così il 6 agosto 2014) “a guardare oltre le difficoltà e le sofferenze della vita presente. La luce di Cristo è una promessa: è la luce che illumina il nostro cammino e ci conduce verso la vita eterna”.

In questo contesto di Giubileo la luce della Trasfigurazione diventa segno della speranza che non delude mai, neppure nei periodi più oscuri o nelle difficili vicende dell’esistenza.

La speranza cristiana, infatti, non è una semplice aspettativa del futuro, ma una forza che illumina il presente e che dona la forza di affrontare le sfide con rinnovata fiducia in Dio.

La voce di Dio Padre che risuona dalla nube invita ad ascoltare il Figlio e diventa un appello ad accogliere questa luce nella vita di ogni giorno, tracciando i passi del cammino di speranza di ogni fedele, pellegrino su questa terra: “la luce che vediamo sulla montagna è il nostro destino eterno, se solo crediamo in Cristo” (San Giovanni Crisostomo, Omelia 56).

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