Continua il travaglio interno nei tre partiti sconfitti dal voto: nel centro-destra Lega e Forza Italia, nel centro-sinistra il Pd.

Lega. A Bergamo e Brescia, roccaforti della Padania, Salvini ha subito una dura sconfitta nelle assemblee provinciali, battuto dalle liste del Nord promosse da Bossi. Nel Varesotto, culla del Carroccio, il segretario si è salvato per dodici voti; ha tuttavia subito un altro smacco politico per l’assenza del vice-segretario Giorgetti, ministro dell’Economia. Una rinuncia che significa diversità di linee. Salvini, pur dimezzato, resta al timone perché l’alternativa nordista di Bossi contrasta con il programma di Governo e, soprattutto, con il rifiuto di Mattarella ad accettare regioni di serie A e B.

Forza Italia. Nel partito diviso tra governativi e intransigenti, ha assunto un forte ruolo Marina Berlusconi che, in più occasioni, ha evitato azioni di rottura del Cavaliere. Sembra prevalere la difesa degli interessi del gruppo televisivo; inoltre, secondo alcuni media, la Famiglia starebbe trattando la vendita de “Il Giornale” con l’editore Angelucci, vicino alla Meloni. Sul piano politico gli Azzurri sentono la concorrenza di Azione, con sondaggi impietosi (sei per cento). Nel Consiglio dei Ministri, Tajani è l’unico filo-Meloni, mentre Bernini, Casellati, Pichetto-Fratin e Zangrillo sono con Berlusconi. Autori con i Grillini della caduta del Governo Draghi, Lega e Forza Italia pagano il passaggio improvviso dal Governo di unità nazionale alla coalizione identitaria guidata dalla Meloni. A questo si aggiunga lo sconcerto provocato dalle forti critiche della Confindustria alle scelte del Governo in una base produttiva del Nord elettoralmente vicina ai due partiti del centro-destra. La politica di Fratelli d’Italia di egemonizzare il consenso potrebbe rivelarsi controproducente. In ogni caso l’accoppiata Berlusconi-Salvini non sembra in grado di riprendere il controllo delle rispettive formazioni.

Pd. Come previsto le primarie saranno una sfida tra il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, e la deputata di Bologna Elly Schlein, con due programmi antitetici: da un lato la via socialdemocratica di derivazione ds (con un’intesa con una parte dei Popolari), dall’altra una posizione analoga a quella dei socialisti e dei Verdi francesi, con una linea libertaria sui temi etici sulla scia Pannella-Bonino. Bonaccini punta sulla rete dei sindaci, la sua avversaria sul sostegno dei media laico-radicali. La deputata emiliana propone un rinnovamento totale, ma tra i suoi sostenitori c’è buona parte dello staff di Letta e l’ex ministro Franceschini, eminenza grigia del partito.
Ancora manca la proposta delle alleanze, mentre in Lombardia e nel Lazio, per le regionali, le federazioni locali stanno orientandosi a un’intesa con i Grillini, nonostante la scelta di Conte di considerare il Pd “partito da battere”, nel quadro di un accordo con il segretario della Cgil Landini.

Questa situazione di minoranze conflittuali agevola ovviamente il Governo Meloni. Per questo non si capisce il duro attacco dell’Esecutivo alla Banca d’Italia “colpevole” di aver contestato i tagli al Reddito di cittadinanza (“crescerà la povertà”) e la mano tesa all’uso del contante (“ci sarà maggiore evasione fiscale”). Il Governatore Visco gode per legge di autonomia, è stimato nel mondo finanziario italiano ed estero. La nota di Palazzo Chigi appare un segno di debolezza e confusione nei rapporti istituzionali. Allo stesso modo non si capisce come il Governo possa da un lato sollecitare misure urgenti dell’Europa su migranti ed energia, continuando dall’altro a difendere l’ungherese Orban che, proprio in questi giorni, ha bloccato un prestito all’Ucraina. Prima o poi sarà necessario scegliere tra Bruxelles e Budapest, altrimenti si rischia la paralisi.

Da tutte le forze politiche è atteso un doveroso salto di qualità.