Il bipolarismo all’italiana ha sacrificato i referendum sull’altare della perenne sfida destra-sinistra: il risultato amaro è l’assenza dalle urne di 7 italiani su 10, nonostante la qualità democratica dei temi in discussione: la dignità del lavoro, il diritto di cittadinanza. Giorgia Meloni e Elly Schlein si sono dichiarate entrambe vincitrici: ma dov’è la vittoria?

La Presidente del Consiglio dovrebbe valutare seriamente l’abbandono crescente del voto, strumento essenziale della democrazia rappresentativa: alle Europee non si è raggiunto il 50 per cento di partecipazione, ora siamo al 30. Può reggere l’obiettivo di due Poli entrambi largamente minoritari, con la maggioranza degli elettori assente?

La segretaria del Pd è caduta nella trappola della Meloni perché ha attribuito un significato politico al referendum, mentre la consultazione andava valorizzata per i temi di civiltà posti all’elettorato. Ponendo invece l’obiettivo implicito della caduta del governo la Schlein ha cambiato le prospettive del voto. Gli stessi sondaggi la smentiscono: su 14 milioni di votanti al referendum vi era il 20% di elettori del centro-destra, mentre il 30% del Pd ha disertato per motivi connessi ai temi referendari.

In realtà lo scontro “dogmatico” destra-sinistra da tempo rende poco più che formale l’attività del Parlamento, diviso tra una funzione subalterna di “schiacciabottoni” per il sì alle leggi o chiamato a scontri frontali tra le componenti. Manca un serio e valido confronto sui temi centrali della società. E le questioni non mancano in entrambi i Poli.

Il Presidente del Consiglio, di fronte alla deriva della Presidenza Trump (e alla rottura con “l’amico” Musk), vede sfumata la sua scelta di porsi come ponte tra l’Europa e gli USA dei super-dazi;. Le resta solo la collocazione europea, messa quotidianamente in forse dalla Lega di Salvini, schierato con l’indifendibile Netanyahu, alleato con Marine Le Pen e l’ungherese Orban, sostenitori della politica di aggressione all’Ucraina di Putin (che continua a rimanere sordo ad ogni richiesta di tregua, anche da parte di Trump). Ci sono poi le scelte di politica economica, con la stagnazione economica per la guerra dei dazi, il caro-vita, i ritardi nell’attuazione dei fondi europei per il Piano di ripresa e resilienza, la guerra continua con i Magistrati …

Per la Schlein anche il referendum ha confermato la difficoltà di gestione del “campo largo” perché sono emersi contrasti sia con i Pentastellati sia con i Centristi e i Riformisti. L’elettorato di Conte, sul tema qualificante del diritto di cittadinanza, ha scelto il “no”, che ha raggiunto il 35% dei consensi espressi, un record; dall’altro lato Calenda, Renzi, Gentiloni e numerosi riformisti Pd hanno votato no sui temi proposti dalla Cgil.

Altro tema divisivo è la politica estera: accanto alla giusta iniziativa contro il governo Netanyahu per le stragi di Gaza, c’è un silenzio inquietante sull’Ucraina, per la diversa posizione di Conte, sostanzialmente neutrale tra Mosca e Kiev. Ma il rifiuto della tregua da parte di Putin non può lasciare indifferente l’opposizione.

L’unità a tutti costi del “campo largo”, perseguita dalla segretaria del Pd in linea con il “lodo Franceschini” (per “pareggiare” alle prossime politiche), non può trascurare le divergenze sui grandi temi, anche perché l’elettore non accetta “volti al buio”; analoga logica vale nel destra-centro per le divergenze abissali tra Salvini e la coalizione.

I due anni che ci separano dalle politiche non possono essere egemonizzati da esigenze elettorali; sarebbe una grave perdita per il Paese. I due Poli (e le componenti interne) debbono chiarire le questioni programmatiche essenziali, a cominciare dalla politica estera e dalla collocazione in Europa. Ma è anche necessario restituire al Parlamento un ruolo concreto e centrale di confronto sui problemi, uscendo dalla sua attuale marginalità. È anche un modo per rivalorizzare le istituzioni democratiche, contrastando la fiducia dei cittadini.

Il 70% di assenza dalle urne dev’essere un monito per tutti, senza esclusioni.