Nel 1924, cento anni fa, padre Luigi Santa, missionario della Consolata, raggiunge l’Etiopia. Vi rimane fino al 1942, quando gli inglesi lo rispediscono in Italia. Pio XII lo nomina allora Ausiliare del Vescovo di Rimini. Dal 1944 fino alla morte (1953) sarà il pastore di questa diocesi. Nato a Castelrosso nel 1895, a dodici anni Luigi entra nel Seminario minore di Ivrea. Quando inizia la prima guerra mondiale, è chiamato alle armi. Dal fronte dell’Ortigara è trasferito a Torino, dove diventa segretario del Generale della Prima Compagnia di Sanità.

Ritornato in Seminario, organizza con i compagni reduci una piccola società filodrammatica, la “Compa-gnia del Fil di Ferro”. Ma il suo sogno è andare missionario in Africa. In molti paesi europei sono nate iniziative a favore delle missioni all’estero. In Italia sono sorti diversi istituti missionari: il Pontificio Istituto delle Missioni Estere (PIME), i Comboniani, i Saveriani… Appena don Luigi è ordinato sacerdote, mons. Matteo Filipello lo manda viceparroco a Verolengo, dove si dedica con generosità ai suoi impegni. Dopo un anno però chiede al Vescovo il permesso di andare missionario. La risposta è negativa. Don Santa insiste, e scrive rispettosamente a Mons. Filipello di aver deciso di entrare nell’Istituto della Consolata. Alla fine, il Vescovo gli manda la sua benedizione.

Padre Allamano, fondatore dei missionari della Consolata lo destina al Kaffa, una regione montuosa nel sud dell’Etiopia. L’Italia, che ha l’Eritrea come colonia (1890) e già ha messo piede nella Somalia, mira a conquistare l’Etiopia, dove da otto secoli regna una dinastia che si considera discendente dalla biblica regina di Saba. Nel 1895 gli italiani hanno subito la pesante sconfitta di Adua. Con l’attuale Negus, Hailé Selassié, l’Etiopia è entrata, primo paese africano, nella Società delle Nazioni.

La popolazione è in gran parte cristiana, di rito copto etiope. I musulmani sono più numerosi lungo la costa, mentre al sud sopravvivono i culti tradizionali. La Chiesa etiope vede di cattivo occhio le missioni, sia cattoliche che protestanti. Ancora nel 1879 è stato espulso il missionario cappuccino Guglielmo Massaia, un insigne benefattore della popolazione abissina. La situazione è dunque complessa. In Etiopia i missionari italiani sono mal visti dal governo per ragioni politiche e dalla chiesa copta per motivi religiosi. Padre Luigi Santa entra in Etiopia in abiti civili.

Da Gibuti, colonia francese, raggiunge Addis Abeba percorrendo gli ottocento chilometri in ferrovia. Nella capitale ha la direzione della scuola italiana e presta assistenza all’ospedale italiano, dove sono presenti le Suore della Consolata. Ha anche il compito di procurare i generi necessari ai missionari del Kaffa. Alla madre scrive di dover fare “l’impresario, il commerciante, l’infermiere, il farmacista, il maestro e… lo scolaro” per imparare le lingue africane. Dopo tre anni viene trasferito a Sayo, a settecento km di distanza. Qui avvia un piccolo Seminario indigeno, scrivendo tra l’altro i testi di scuola nelle lingue locali.

Nel 1934 il Prefetto apostolico del Kaffa, Gaudenzio Barlassina, è eletto Superiore generale dei missionari della Consolata. Padre Santa è chiamato a succedergli e a metà novembre si mette in viaggio con una grande carovana, portando derrate e vettovaglie agli oltre sessanta tra missionari e missionarie dispersi in un territorio immenso. Ma si avvicina la tempesta.
Prevedendo che in caso di guerra avrebbero corso seri pericoli, mons. Santa fa partire le religiose del Kaffa. Vi resta lui con due confratelli preti e un coadiutore.

In ottobre le truppe italiane varcano i confini dell’Etiopia e issano sulle rovine del forte di Adigrat la bandiera ammainata il 18 maggio 1896. Esasperazione e odio crescono contro gli italiani. Il Presidente della Croce Rossa etiopica afferma che, “causa la crudeltà degli italiani, i quali uccidono senza distinzione donne e bambini, bisogna che anche tutti i missionari italiani lascino subito il Paese; il popolo è troppo eccitato”. I quattro Missionari vengono arrestati dal corpo di guardia dell’imperatore.

Il Vice-governatore intima loro lo sfratto. Essi partono l’indomani, chiusi a chiave sul vagone ferroviario e sorvegliati da tre militari armati. Mons. Santa resta in Italia solo alcuni mesi.

Il 5 maggio del ’36 il maresciallo Pietro Badoglio entra in Addis Abeba. Pochi giorni dopo Mussolini proclama l’impero: insieme all’Eritrea e alla Somalia, l’Etiopia diventa parte dell’Africa Orientale Italiana.
Quando mons. Santa rientra ad Addis Abeba, le abitazioni dei missionari sono totalmente distrutte. In giugno è riattivato l’ospedale italiano, grazie a un gruppo di suore giunte da Torino. Intorno divampa la guerra tra le truppe italiane e gli etiopi ribelli all’occupazione. Diversi missionari, preti e suore, perdono la vita.

L’anno seguente mons. Santa è nominato Vicario Apostolico di Gimma e viene consacrato vescovo. Subito si dà a riorganizzare l’opera dei missionari, promuove scuole agricole, mette mano alla costruzione di una chiesa, che dedica alla Consolata. Intanto l’Italia è entrata in guerra (10 giugno 1940).

Le suore missionarie devono riparare a Gimma, mentre i padri rimangono al loro posto, “decisi di non abbandonare il gregge, a rischio anche della vita”. Gli inglesi bombardano ripetutamente Gimma che capitola nelle loro mani il 21 giugno. Nel febbraio seguente missionari e suore vengono deportati parte in Rodesia, parte in Kenya.

Rimasto temporaneamente ad Addis Abeba “per chiudere casa”, in giugno mons. Santa è trasferito insieme ad alcuni padri ad Harar e di qui in novembre a Berbera, dove vengono imbarcati per l’Italia.

(continua sul prossimo numero)