Lo storico incontro Trump-Zelensky in San Pietro (favorito dalla diplomazia vaticana) ha aperto un nuovo capitolo nel conflitto russo-ucraino, anche se ci vorranno mesi per capire se lo spirito di pace ispirato da Papa Francesco produrrà frutti definitivi. Ma un risultato è già stato raggiunto: la Casa Bianca ha abbandonato il totale appiattimento sulle richieste di Putin, anzi ha cominciato a dubitare dei suoi impegni tra cui la tregua di un mese (ha ora proposto 3 giorni).

Nella prima fase dei colloqui Usa-Russia l’inviato di Trump aveva concesso a Mosca la piena sovranità sulla Crimea, il controllo “de facto” dei territori conquistati con la guerra, la cogestione delle “terre rare”. In altre parole la totale resa di Kiev. Lo “spirito” di San Pietro ha ora rallentato la “mano tesa” con Mosca, con un maggior riguardo per le posizioni di Kiev. La Santa Sede, con una dichiarazione del card. Parolin, aveva da tempo auspicato una “pace giusta e duratura”, con la trattativa diretta Putin-Zelensky “senza pre-condizioni”. Peraltro, negli incontri ravvicinati nella Basilica vaticana, sono comparsi con Trump e Zelensky anche il francese Macron e l’inglese Starmer, sostenitori di una presenza militare europea di garanzia della pace, per evitare future aggressioni da parte di Mosca (il numero due del Cremlino, Medvedev, è giunto a minacciare anche Svezia e Finlandia).

La Meloni è rimasta nei banchi delle autorità, in piazza San Pietro, perché il Governo italiano non condivide la linea franco-inglese, puntando invece su una presenza dell’ONU. Sulla guerra russo-ucraina nell’Esecutivo permangono due linee: Meloni e Tajani con Kiev, Salvini con Putin (da anni la Lega ha stretti rapporti politici con la leadership moscovita: memorabile la maglietta del Segretario del Carroccio con lo Zar contrapposto al presidente Mattarella, da sempre contrario all’invasione Russa dell’Ucraina). Anche nel centro-sinistra non mancano le divisioni: Conte ha condiviso le prime posizioni critiche di Trump sull’Ucraina; i suoi “distinguo” hanno reso impossibile la presentazione di un documento unitario del “campo largo”’, con un incomprensibile silenzio politico su un conflitto che insanguina il cuore dell’Europa.

Sia pure con motivazioni diverse, la Lega a destra, M5S e AVS a sinistra sono collocati a Strasburgo all’opposizione del governo di Ursula von der Leyen. La presidente UE, nel sostenere il suo piano di difesa europea, ha risposto accusando l’estrema destra e l’estrema sinistra di appoggiare Putin. Questa divisione abissale non è positiva per il Vecchio Continente che, in questo frangente bellico, avrebbe bisogno di respirare “un’aria francescana” di dialogo, pur nella diversità di posizioni.

Più omogenea sembra invece la politica italiana su Gaza e il Medio ­Oriente: favorevole alla linea dei due Stati, israeliano e palestinese; contraria al massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, ma critica sulla spietata e illimitata reazione di Netanyahu, soprattutto ai danni delle popolazioni palestinesi inermi. Ma anche su Gaza si distingue Salvini, schierato sulla linea del governo israeliano, appoggiata dagli USA. In quanto vice-premier, il leader del Carroccio indebolisce obiettivamente la linea Meloni-Salvini e la stessa credibilità del Governo; anzi alcuni media si interrogano sulle reali motivazioni di queste scelte, scorgendovi un attacco permanente al ruolo della premier. Altra recentissima rottura di Salvini si segnala sul Tribunale Internazionale dell’Aia, con il sostegno all’ungherese Orban che ha disdetto l’adesione alla Magistratura europea, anche per poter ricevere a Budapest il “ricercato” premier israeliano Netanyahu. Come ha ricordato Tajani molto contrariato, l’Italia è il Paese fondatore del Tribunale europeo nato a Roma con l’obiettivo di una giustizia “plurale”.

I contrasti sulla politica estera non sono un buon viatico per l’obiettivo dell’Italia di svolgere un ruolo costruttivo in un momento molto critico per le guerre in corso. Questo rende più difficile il compito della Meloni di mediare tra USA ed Europa: molti partner europei, a cominciare da Francia, Germania e Spagna, le chiedono di fare chiarezza nella sua compagine. Una richiesta che la stessa von der Leyen ha rivolto anche alla Schlein, per le posizioni AVS e Pentastellati.