(Elisabetta Acide) – Martedì 16 settembre alle ore 16, presso il Santuario della Madonna del Veuchio di Verolengo, nell’ambito della festa del Santuario, presieduta da Mons. Stefano Bedello, vicario del’ Arcidiocesi di Vercelli, rettore del Seminario, sì è tenuta la celebrazione liturgica con l’ amministrazione del Sacramento dell’Unzione degli Infermi.

La liturgia del giorno ha offerto al celebrante la possibilità di condurre una riflessione significativa in ambito biblico e spirituale legata alla premura e compassione di Cristo verso i malati e la sua cura nel corpo e nello spirito.

Commentando il brano del Vangelo del Giorno (Lc 7,11-17),

mons. Bedello non ha fatto mancare preziose riflessioni.

Un dramma umano, un dolore indescrivibile: “morte di un figlio di madre vedova”, e Gesù di fronte alla totale negazione della vita, del futuro, della speranza, si commuove.

Di fronte al dolore, al pianto, alla disperazione di una mamma che diventa disperazione della folla che la accompagna, Gesù si ferma, “tocca” e Ri-alza.

Le parole della vita, le parole della risurrezione, il ri-alzarsi. Mons. Bedello si sofferma ad analizzare il brano del Vangelo di Luca e guida una meditazione con parole “belle” e di speranza: occorre affidarsi e fidarsi di quel Dio che ri-alza, ri-solleva, ri-sorge, che si ferma sull’ umano per donare una “nuova vita”.

Nuovo futuro. Gesù “tocca la vita per rialzarla.

Ma anche la riflessione che si allarga alla missione della Chiesa, al cammino di questo tempo sinodale che si snoda su quei verbi sottolineati da mons Bedello in modo puntuale: “avere compassione”, “fermarsi ”, “toccare”; sono le azioni della Chiesa, che accompagna come quella folla, la donna, il pianto suo e della folla, che sa fermarsi e toccare quel ragazzo. Il Vangelo è dinamico, è cammino, è corsa, è gioia, ma quando incontra il dolore occorre “fermarsi”, incontrare, “toccare”, con le mani di Padre e Madre, come ha fatto Gesù, parlando al cuore.

La Chiesa dice all’ uomo ed alle donne di oggi

“Ri-alzati”, rimettiti in cammino, sollevati, cammina: Dio è con te.

E, continua mons Bedello, l’ unzione degli infermi che tra poco vivremo, è l’ augurio di una vita rialzata, risollevata, che auspica testimonianza.

Dopo l’ omelia ha avuto luogo il rito dell’Unzione degli infermi che, è bene ricordare, non è il sacramento soltanto di coloro che sono in fin di vita, lo può ricevere il fedele che soffre nel corpo e nello spirito, si trova nella malattia o in età avanzata e la so può ricevere anche in diverse occasioni, accompagnato dal sacramento della riconciliazione.

La celebrazione di questo sacramento consiste nell’ Imposizione delle mani, in silenzio, il rendimento di grazie sull’olio già benedetto dal Vescovo, e nell’unzione, sulla fronte e sulle mani del malato, accompagnata dalla preghiera del sacerdote, che implora la grazia speciale di questo Sacramento.

Ricordiamo che il sacramento  conferisce la grazia che unisce più  il malato alla Passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa, donandogli conforto, pace, coraggio.

Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a comprendere la bellezza e l’ importanza di questo sacramento: “Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei sacerdoti tutta la chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta ad unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo per contribuire così al bene del Popolo di Dio” (LG 11).

Diventa importante recuperare il significato di questo sacramento della fede, incontro con Cristo nel segno sacramentale, dono di grazia per superare le difficoltà della situazione di malattia, sostegno nella prova, forza per proseguire il cammino di salvezza nell’ambito della missione della Chiesa.

Dunque “sacramento di  guarigione” interiore dalle angosce, dai dubbi e dalle lacerazioni prodotte da ogni grave malattia; qualche volta anche guarigione fisica, per la potenza dell’azione di Cristo nella Chiesa.

Celebrare il sacramento in un santuario mariano è affidare a Maria, donna sotto la croce, la vita, per riceverne una carezza materna, affinché sia portata a Cristo, Incarnato non per “spiegare” la sofferenza, ma per prenderla su di sé .

Il fondamento biblico del Sacramento lo troviamo nella  Lettera di Giacomo (vv. 5, 14-15): 

“Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato:  il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati”.

La celebrazione, all’ Interno della Santa Messa, vuole essere un dono particolare dello Spirito Santo,  grazia e conforto, pace e coraggio per affrontare  le difficoltà della vita, della malattia e della senilità con rinnovata fiducia e fede  in Dio.

L’Unzione non è solo ricorso al Dio che salva, “fa sorgere”, ma è anche grazia fatta ai credenti perché diventino segno di conversione e  preghiera e di comunione con Cristo.

E proprio mentre camminiamo “pellegrini di speranza”, proviamo a far risuonare nelle nostre vite il coraggio dei “cristiani  in piedi”, di coloro che sanno costruire relazioni di cura, di coloro che sanno “commuoversi” ed accompagnare nella sofferenza, in quelle “processioni” che, come sottolineava il vicario Diocesano vercellese, si “fondono”: il pianto e la disperazione con la gioia dell’ annuncio del Vangelo.

Percorriamo le vie della quotidianità portando con noi il “fermarsi”, usciamo dall’ indifferenza che ci rende impermeabili alle solitudini ed al dolore e impariamo a “sostare” accanto alle sofferenze, per portare il conforto umanissimo e divino della compassione accompagnato dall’ annuncio gioioso del Vangelo.

Testimoni di speranza.

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