La giustizia ha chiuso il cerchio; ci avrà pur messo 38 anni per arrestare Cesare Battisti, ma ci è arrivata.E questo è un successo: non ci piove. Ora Cesare Battisti è in carcere ad Oristano. Non credo debba “marcire” in carcere; crediamo che in carcere debba scontare la pena che i tribunali gli hanno inflitto. E questo ci pare sufficiente – e giusto – in uno Stato di diritto che ha uomini e strutture per dar seguito alle sue decisioni, e non solo quelle di giustizia.

La pena di dover “marcire” in carcere non ci pare gli sia stata comminata dai tribunali, così come non è stata comminata a nessuno di quelli che vivono dietro le sbarre oggi nel nostro Paese. Settimane, mesi, anni, la vita intera di condanna, ci pare siano questi i termini entro i quali dobbiamo restare e dobbiamo considerare l’esistenza dei carcerati. Non ci pare neppure che strutture, e soprattutto uomini e donne che lavorano in carcere nell’amministrazione o polizia, abbiano come mandato quello di far “marcire” qualcuno.

Non stiamo ad elencare i loro compiti, immaginiamoli solo, ma facciamo fatica a vedere che impieghino le loro ore di operosità, capacità, dedizione, professionalità per far “marcire” chi è affidato al loro servizio e al loro lavoro. Quante volte abbiamo sentito dire che per sconfiggere la recidiva è necessario “ri-costruire” l’uomo o la donna dietro le sbarre, con opportunità di studio, di lavoro, di impegno, di sostegno psicologico, di formazione: perché il futuro non sia una fotocopia del passato. La condanna dei tribunali verso chi si è macchiato di un reato o di un crimine è espressa in misure restrittive per un dato tempo.

Lo sforzo di chi lavora in carcere è di rispettare a sua volta le leggi, creando un ambiente il più favorevole possibile e costruttivo, senza il quale non esisterebbe neppure la soddisfazione personale di fare un buon lavoro: a chi piace lavorare nella puzza di marcio, e chi non ha voglia di vedere un’umanità derelitta risollevarsi? Lo sforzo delle migliaia di volontari che ogni giorno varcano le soglie delle carceri italiane è immenso, per far sì che dentro a quelle condanne – e nel rispetto di quelle condanne – ci stia sempre la considerazione di cosa di buono il cuore dell’uomo può tirare fuori per sé e per gli altri.

Solo chi non crede nel legittimo potere della giustizia – chiunque sia, e peggio ancora se uomo delle istituzioni – si sente in dovere di aggiungere una condanna tutta sua, che faccia scalpore, che faccia far west, che faccia muovere la pancia più che la testa, che faccia arrivare tanti voti alle elezioni.