Alla vigilia del voto Giorgia Meloni aveva difeso (con Salvini) il “sovranismo” del premier ungherese Orban, colpito dalle sanzioni di Bruxelles; oggi, in un’altra vigilia (l’ascesa a Palazzo Chigi), è costretta ad attaccare il sovranismo tedesco e olandese: il socialdemocratico Scholtz, a Berlino, il liberale Rutte, all’Aja, hanno affossato il progetto Draghi di un tetto europeo al prezzo del gas, con gravi conseguenze per molti Paesi, a cominciare dall’Italia.

Lo staff della Meloni collabora con il ministro uscente Cingolani per nuove misure che attenuino il caro-bollette, mentre il presidente di Confindustria, il lombardo Bonomi, affossa il programma elettorale del centro-destra, affermando la priorità agli interventi per calmierare il prezzo di metano e benzina, rinviando sine-die le promesse riforme della flat-tax e delle pensioni.

Il quadro politico-economico è cambiato molto rapidamente: Fratelli d’Italia sembra ricercare un endorsement europeo da Mario Draghi (dopo due anni di opposizione), anche sotto la spinta del co-fondatore, il cuneese Guido Crosetto. Intransigenti (e spiazzati) Berlusconi e Salvini che insistono per un governo “politico”, senza i tecnici auspicati dalla Meloni. Il tallone d’Achille del centro-destra si conferma il segretario della Lega, sempre più contestato al suo interno, con il leader storico Umberto Bossi che ha dato vita a una corrente di opposizione nel nome del Nord “dimenticato”. Anche sulle drammatiche vicende belliche, dopo la minaccia nucleare avanzata da Mosca, le voci si sono differenziate: apertamente contro Putin la Meloni, “silenti” Berlusconi e Salvini, ex amici del Cremlino.

Mentre la maggioranza fatica ad assumere il nuovo “ruolo” governativo (con sondaggi sempre più impietosi per il Carroccio, ormai all’8% come Forza Italia e Azione-Italia Viva), l’opposizione continua a muoversi in ordine sparso, favorendo Berlusconi e Salvini nella richiesta di “blindare” il Parlamento, con le presidenze di Camera e Senato al centro-destra.

Nel Pd, dopo l’annuncio delle dimissioni di Letta al prossimo congresso, è emersa la “babele” delle lingue: la sinistra vuole la riapertura del dialogo con i Grillini di Conte, i moderati di “Base riformista” aprono invece a Calenda e propongono come segretario il presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini, su una linea socialdemocratica-radicale, come Letta. Gli ecologisti sostengono la vice di Bonaccini, Schlein, su una posizione di sinistra radicale, mentre Rosy Bindi, già presidente del Pd, ne propone lo scioglimento (in realtà l’ex ministra della Sanità ha già avanzato simile richiesta nella Dc, nel Ppi e nella Margherita, sempre con successo temporaneo).

L’onorevole Filippo Andreatta, figlio dell’autorevole ex ministro dell’Economia, ha richiamato tutti alla responsabilità, chiedendo di porre fine alla confusione; in alternativa sarebbe preferibile ritornare alla situazione precedente, con i Ds e la Margherita. In realtà Andreatta pone una questione politico-programmatica decisiva: la linea, il volto del Pd, le alleanze, il programma. Socialista o liberale, cattolico-democratico o libertario, riformista all’interno della logica di mercato o attento prioritariamente alle questioni della giustizia e dell’eguaglianza? E anche sui temi etici i nodi restano aperti: ultima, in ordine di tempo, la richiesta della lista alleata “Sinistra italiana-Verdi” di cancellare, in nome dei diritti, la facoltà dei medici di esercitare l’obiezione di coscienza sul tema delicatissimo dell’aborto, che chiama in causa il diritto alla vita. È una scelta che definisce la visione antropologica di una forza politica.

Nel travaglio del Pd, che oggettivamente dà respiro alla litigiosa coalizione di governo, Conte e Calenda sembrano essenzialmente preoccupati di rafforzare i rispettivi partiti, avendo come obiettivo l’attacco da destra e da sinistra ai Dem. Sembra mancare una prospettiva di carattere generale, perché non si governa né con il 15% dei Grillini né con l’auspicato 10% di Azione-Italia Viva (in reciproco contrasto).

L’ex premier Conte, in particolare, deve chiarire la politica estera dei Pentastellati, dopo la sfida nucleare di Putin all’Occidente; Calenda rilancia Draghi alla guida del Governo, ipotizzando la rapida fine (?) della coalizione di centro-destra, ma il premier dimissionario già guarda a nuovi impegni europei.

Il voto del 25 settembre ha indicato una maggioranza di governo, ma non ha risolto la crisi dei partiti, alla base del forte astensionismo. Come ha chiesto il card. Zuppi è auspicabile un generale salto di qualità, con una piena e collegiale assunzione di responsabilità.