Ci sono delle cose che non si dimenticano: il primo amore, il primo bacio, il primo robottone. Già, quel Goldrake è stato il primo tra i robot ad arrivare nel nostro paese, quaranta anni fa, e ha segnato un’epoca. Una generazione di ragazzi e ragazzini che ha sperimentato gesti e parole nuove, tutto talmente lontano dal mondo di oggi che io stessa non ho potuto far a meno di sorridere, tra me e me, riportando alla mente i ricordi di quel periodo. Perché io c’ero.
Per alcuni è stato il primo cartone animato visto a colori, le televisioni nelle case erano ancora in bianco e nero, si tornava da scuola con la cartella e si facevano in fretta i compiti altrimenti non si sarebbe potuto vedere l’episodio. Non c’era la possibilità di rivedere le trasmissioni in streaming, non c’erano ancora le videocassette, quella puntata era unica ed era attesa perché la lotta contro i “Vegani” riguardava tutti noi. Se Goldrake mangiava insalate di matematica noi facevamo merenda con il panino preparato da nonna e la sigla si ascoltava nel mangiadischi con il 45 giri. Tutti i bambini a scuola avrebbero parlato della puntata vista, avrebbero unito i pugni per avviare la trasformazione e noi bambine, per la prima volta, avremmo potuto interpretare i ruoli femminili, altrettanto importanti. Venusia non è solo la fidanzata di Actarus è anche la ragazza che lo affianca nei combattimenti, per la quale viene costruito il delfino spaziale in grado di immergersi e che, alla fine, sarà fondamentale, insieme a Goldrake, per la sconfitta di Re Vega. Perché anche questa era una novità, la sceneggiatura, i personaggi maschili e femminili, i buoni ed i cattivi. Tutto era completamente diverso da quei personaggi animati visti in passato.
Si andava a cercare sul mappamondo o sulle carte geografiche appese alle pareti in classe dove fosse il Giappone, d’altro canto non c’erano tutti i ristoranti cinesi e giapponesi di oggi (il primo ristorante giapponese in Italia venne aperto a Roma nel 1974), così come ci si interessava, a volte per la prima volta, delle costellazioni per ritrovare, nelle stelle, i nomi degli eroi o dei nemici, anche questo si faceva attraverso le enciclopedie e gli atlanti perché non c’era internet.
Si cominciano ad usare termini nuovi, quelli delle temibili armi di Goldrake: l’alabarda spaziale, il maglio perforante, i disintegratori paralleli, il campo magnetico, la velocità subfotonica, il raggio ottico e tanti altri.
Oggi fanno appunto tenerezza, così come invece allora hanno fatto impensierire molte famiglie. Fu la prima volta, e ancora lontana dal diventare una psicologa, che sentivo le mamme preoccupate che l’aggressività dei robot potesse influenzare negativamente i figli. All’epoca non sapevo che ci fu anche chi si mobilitò per bloccarne la visione. Così come cominciarono le campagne di informazioni false, che cercavano di svalutare il lavoro dei disegnatori giapponesi, asserendo che Goldrake era frutto di un’elaborazione al computer.
A noi bambini interessava sapere che c’era un ragazzo, un eroe che veniva dallo spazio, un miracolo di elettronica con un cuore umano, che difendeva un mondo non suo da un nemico cattivissimo. I bambini si sentivano protetti, dormivano con il poster del loro eroe sulla parete della cameretta. Quell’eroe bellissimo (le bambine avevano tutte una “cybercotta”), accompagnato dalla meravigliosa voce di Romano Malaspina, vigilava su tutti perché tra le stelle sprinta e va. Perché, come ci ha insegnato Chesterton, “Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini lo sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi.”

Cristina Terribili