(Fabrizio Dassano)

Il caldo non demorde.
È estate in effetti, ma pare che questa del 2019 sia particolarmente calda e il caldo fa dare i numeri alla gente. Eccone qualcuno: qui da noi nel luglio 1973 la massima fu di 30°C con una media di 26,6°C. Nel luglio del 1979 la massima sempre di 30° C e la media di 27,4° C. Nel 1982 la massima di 31,4° C e la media di 29,7° C. Nel luglio 1989 la massima arrivò a 31° C e la media a 27,4. Nel fatidico 2003, sempre a luglio, la massima fu di 34° C il giorno 13 e la media mensile si impennò a 27,8° C. Al 23 luglio 2019 la massima è stata di 33°C per tre giorni di fila e la media è di 29,8° C. L’automobile al sole segna 38° C.

A misurare con dei numeri il tormento della calura (e del freddo) ci pensò nel 1597 Galileo Galilei che inventò un indicatore di temperatura, predecessore dei successivi termometri. Non gli era bastato inventare il cannocchiale astronomico… Lasciamo perdere la temperatura “percepita” e relativa formula “windchill”. Penso piuttosto che a darmi questa sensazione di caldo opprimente sia la mia personale meteoropatia: sono cioè soggetto a disturbi neurovegetativi che si verificano in determinate condizioni e variazioni climatologiche. Ho scoperto che per capire se si è effettivamente meteopatici, si può ricorrere al test di Gualtierotti-Tromp: una volta misurata la temperatura del palmo della mano destra, si immerge la stessa mano in acqua fredda per circa 2 minuti; quindi, estratta la mano dall’acqua si misura di nuovo la temperatura palmare una volta trascorsi altri 6-7 minuti: se la temperatura non è tornata al livello precedente, si è sicuramente meteopatici. Ma come faccio a misurarmi la temperatura del palmo della mano? Con il termometro della febbre?

Ormai il meteo ha conquistato i nostri telefonini: è un’app fondamentale come l’orologio, il navigatore, la chat verde… Non dimentichiamo il particolare rapporto tra la meteorologia e il mondo della comunicazione che nasce prima dello smartphone: bisogna sapere che il primo ufficio meteo britannico della storia fu realizzato dal capitano della Royal Navy, Robert FitzRoy (1805-1865), celebre per aver condotto, in qualità di comandante, il brigantino “Beagle” nel viaggio di circumnavigazione del globo (dal 1831 al 1836), a cui partecipò il famoso naturalista Charles Darwin. Preso bene dalla stazione meteo che aveva realizzato sul “Beagle”, al ritorno mise in funzione 15 stazioni terrestri da cui venivano trasmessi con il telegrafo, a ore fisse, i dati di pressione e temperatura dell’aria. In base a questi dati FitzRoy redigeva un bollettino con le previsioni delle perturbazioni in arrivo. Il “Times” gli affidò nel 1860 la rubrica del meteo che però destò subito le ire delle compagnie di pesca in quanto i pescatori si rifiutavano di uscire in mare se FitzRoy aveva previsto tempo cattivo. Purtroppo per lui le sue elaborazioni predittive erano un disastro: al punto che, travolto dalle critiche, si suicidò.

In ogni caso, a pensarci bene, non dovremmo lamentarci troppo del tempo, per quanto mutevole e balzano che sia: se non cambiasse tanto spesso, così imprevedibilmente e così estremisticamente, nove persone su dieci non saprebbero come attaccare una conversazione.