Ero lì, in prima linea. Non solo per documentare, ma per lasciarmi attraversare. Durante il primo Giubileo dei missionari digitali, mentre realizzavamo il video ufficiale dell’evento, ho respirato l’urgenza e la freschezza di una realtà viva, giovane, determinata. Una comunità che chiede di abitare stabilmente la carne della Chiesa, non come esperimento passeggero ma come sua naturale estensione nel tempo presente.

Il mondo digitale non è periferia. È centro abitato, luogo di relazione, spazio di umanità concreta. La rete non è opposta alla presenza: ne è una forma, diversa ma reale. Per questo chi vi porta il Vangelo non è “influencer cattolico” per etichetta, ma missionario. “La Chiesa sta dove sta l’uomo”, si è detto. E oggi l’uomo vive anche lì, nel flusso continuo di contenuti, nel silenzio dopo un post, nella solitudine che cerca uno sguardo.

Questa missione, però, non può essere lasciata al caso. Il Dicastero per la Comunicazione ha espresso con chiarezza il desiderio di accompagnare questi evangelizzatori digitali. Perché non siano soli e perché non si lascino sopraffare. La rete è un campo vasto, ma chi vi opera ha bisogno di sostegno, confronto, discernimento. I missionari digitali lo sanno bene: per restare autentici, devono prima di tutto coltivare la propria fede. Non si annuncia nulla se non si è disposti a farsi prima ferire dal Vangelo. Senza una vita interiore solida, anche il miglior contenuto si svuota.