Come riuscì a salvare 87 montanaresi deportati

(Roberto Ricco)

MONTANARO – Dopo aver parlato di padre Filiberto Guala, trattiamo oggi la figura di monsignor Vittorio Tos: un altro personaggio notevole del paese basso canavesano, al quale alcuni montanaresi chiedono (come per Guala) che sia intitolata una strada.

Monsignor Vittorio Tos (Pobbia di Azeglio, 7 marzo 1879 – Montanaro, 7 dicembre 1967), per 47 anni parroco di Montanaro. Furono i terribili 18 giorni del 1944 – dal 20 settembre all’8 ottobre – a far emergere le sue notevoli capacità diplomatiche e di mediazione per riportare a casa salvi 87 uomini arrestati e deportati, senza sapere dove, a seguito del grande rastrellamento che ne aveva radunati in piazza ben 1.500. La causa scatenante fu il rapimento avvenuto il 20 settembre 1944 di 3 militari tedeschi, intenti a riparare la marmitta di un’automobile nei pressi della cappella di San Grato, poi portati sulle colline di Orio dai partigiani.

Le truppe tedesche giunsero in forza a Montanaro, rastrellando gli uomini del paese. La popolazione era letteralmente terrorizzata, due ragazzini nel panico fuggirono in chiesa, si nascosero fin su, nella cassa dell’organo tra tiranti e mantici, per evitare domande sui famigliari. Tos si adoperò immediatamente per la liberazione dei 3 militari portandosi sul luogo di prigionia: liberazione avvenuta poche ore dopo, la sera stessa. L’azione diplomatica con i partigiani, che fruttò la liberazione dei militari tedeschi, tuttavia non impedì che fossero deportati 87 uomini dei 1.500 fermati in precedenza. Alla partenza dell’autocarro con rimorchio ci furono sventagliate di colpi di mitragliatrice. Le autorità tedesche imputavano alla popolazione la segnalazione ai partigiani della presenza dei 3 militari rapiti. Possiamo immaginare la scena straziante all’avvio del convoglio.

Tos agì nuovamente a tambur battente tramite l’interessamento dell’Ingegner Filiberto Guala – montanarese che parlava il tedesco e tornerà altresì utile nei giorni seguenti per traduzioni – si recò dapprima in Curia Metropolitana a Torino da monsignor Merlo, da questi inviato dal canonico Garneri, prelato incaricato a trattare con le SS. Seguirono nei giorni successivi, su loro indicazioni, frenetici spostamenti in corso Stupinigi (ora corso Unione Sovietica) alla caserma del Nizza Cavalleria per avere l’elenco dei nomi dei prigionieri, in corso Galileo Ferraris presso l’ufficio dell’Ingaggio per il lavoro in Germania, con l’ispettore Golgres, fermamente intenzionato a inviare gli uomini di Montanaro in Germania. Ebbe contatti con il capitano Schmidt, a capo della polizia tedesca a Torino, trattò con il comandante Munanni delle SS, sempre nel capoluogo ebbe contatti con l’ingegner Eggstein della Lancia, il Consolato Tedesco… In questa lunga ed estenuante azione diplomatica fu coadiuvato dal vicecurato don Mario Alifredi, beneficiando a volte dell’autovettura del commendator Brezza per i trasferimenti, resi difficoltosissimi per l’interruzione dei ponti ferroviari. Altre riunioni diplomatiche avvennero in parrocchia, a Montanaro: momenti convulsi, incontri prima annunciati, poi smentiti telefonicamente, infine l’arrivo a sorpresa della delegazione.

Il timore di attentati e imboscate, con il conseguente blocco delle trattative, era elevato. Si aprirono spiragli, “una bottiglia di Barbera del ’40 e un Caluso dolce del 1894 – di 50 anni! Fece l’effetto meraviglioso e ritornarono a Torino contentissimi”. A sancire gli accordi occorreva l’assenso del generale tedesco a Milano, era fuori città, forse a Monza o Como. Saltò dunque la prima data richiesta per la liberazione: la domenica 1 ottobre 1944, festa del Rosario. Forse richieste economiche: 20… 25… 30 mila lire e più.

Il prevosto rischiò la vita, coinvolto in un mitragliamento aereo alleato presso la Piana di San Raffaele, sul trenino “fuggi fuggi, passaggio di 36 quadrimotori carichi di bombe diretti altrove”, di ritorno a Montanaro. Era il 3 ottobre 1944, appresa a Torino al Consolato Tedesco la notizia che gli uomini sarebbero stati liberati e in procinto di comunicarla alle famiglie. “Tornò a piedi al paese, e parimenti alla spicciolata, nei giorni successivi, tornarono tutti salvi gli 87 prigionieri. L’8 ottobre fu giorno di tripudio! Erano tutti a casa: dalla piazza si dipanò un corteo verso la chiesa, immediatamente stracolma, dove riecheggiavano le solenni note dell’organo con alla consolle il buon Franco Riva”. Tos celebrò una Messa di ringraziamento, mai così sentita e partecipata: il paese aveva seriamente rischiato di essere dato alle fiamme.

I fatti di sangue del 1° maggio 1945 sono maggiormente noti, nuovamente il prevosto fu in prima linea per trattare la liberazione degli ostaggi, poi avvenuta.

Complessa l’organizzazione dei funerali degli italiani, altra diplomazia, uno dei partigiani non aveva parenti a Montanaro: trattative ininterrotte con gli esponenti del Comitato di Liberazione. Inizialmente funerali richiesti in forma civile, poi esequie religiose purché celebrate da un cappellano militare, da un viceparroco. Infine fermamente voluti e celebrati dal Tos in Santa Maria Assunta il 3 maggio. Italo Giavarini, Gino Massa e Pietro Prono furono portati a spalla in chiesa dal Municipio ove era stata allestita la camera ardente, avvolti nel tricolore.

Queste le parole di monsignor Tos sui funerali partecipati da tutta la popolazione, fissate con calligrafia minuta in un suo diario: “Al mattino la messa fu solennissima, parata con organo e orchestra. Io celebrai con commozione! Tanto più che prima di andare all’Altare seppi che nella notte erano andati a prendere due nostri (B. e P.) e volevano fare l’esecuzione presto, prima che arrivassero gli Inglesi, perché dopo non avrebbero più potuto farla…”. Il 4 maggio alle 6 del pomeriggio le forze di liberazione giungono a Montanaro, accolte dal suono festoso del ‘Gridilin, carri con soldati messicani e neozelandesi, fiori gettati a profusione dalla popolazione. “… Accorro, stringo mani e benedico…”.