(Filippo Ciantia)

Nata e cresciuta in Italia, a 15 anni Rita parte per gli Stati Uniti. La famiglia non ce la fa e allora si va nel paese delle opportunità. Vita dura, ma c’è tanta voglia di fare. È brava nello studio e ama l’insegnamento. Arriva ad essere capo dipartimento per le lingue straniere in una importante scuola pubblica di Boston. Ovviamente l’insegnamento dell’Italiano è la sua passione: ama rendere l’apprendimento della lingua della sua terra d’origine, appassionante e interessante per gli studenti della scuola.

La incuriosisce l’arrivo di una nuova insegnante di Italiano.

Anche Monica è arrivata negli Stati Uniti a 15 anni. Nata in Uganda, arriva nella Grande Mela per un anno di studio all’estero. Completa gli studi universitari e inizia a insegnare Scienze alle scuole superiori. Si sposa e, seguendo il marito, si trasferisce a Boston. Un nuovo mondo, meno dinamico e più a misura di famiglie, ma pur sempre da scoprire e capire.

La curiosità è d’obbligo anche perché Monica ha un secondo nome, Awor, nata di notte, e, pur giovane, ha 3 figli. Rita la sente vicina a sé, non solo per l’emigrazione a 15 anni, ma anche perché Monica ha perso un bambino alla nascita. Anche lei ha sofferto questa ferita che non si rimarginerà mai.

Ma è nata una nuova bambina! Monica invita Rita e il marito Phil e altri colleghi, come Wilma e il marito Kevin, al Battesimo e alla festa che segue una cerimonia molto partecipata.
Rita e Vilma e i mariti vanno volentieri alla festa, anche perché ci sono tante persone, ma la maggioranza sono bambini. Non si insegna per tanti anni senza diventare alla fine appassionati a chi cresce e deve essere accompagnato a scoprire il mondo. Sono stupiti dalla gioia, dai canti, dal cibo (in gran parte di tradizione italiana), ma soprattutto dalla amicizia che regna tra Monica, la sua famiglia e tutti gli invitati. Si sentono parte di una comunità viva. Tante esperienze tristi della loro vita vengono invase da questa letizia.

La bambina viene battezzata Miriam Bakhita, in onore della santa sudanese, schiava (il nome significa “fortunata” in arabo) e poi, dopo la liberazione, religiosa in Italia.

Tutti a quella festa, immersi nella gioia della comunità cristiana, capiscono inaspettatamente che anche loro, come Bakhita, sono veramente fortunati.