Il modulo movimento in montagna estivo che la Brigata Taurinense sta conducendo nel mese di luglio, ha visto anche l’alto Canavese tra le sue mete, con il 1° Reggimento Artiglieria da montagna schierato dapprima a Noasca per poi spostarsi – con una marcia di trasferimento – a Traversella.

Dai campi base, numerose sono state le ascensioni per gli artiglieri di Fossano sulle cime della zona: punta Rocchetta e La Pelousa in Valle Orco, Punta Lion, Punta Giassetto, Cima Bossola e Punta Palit da Traversella.

Sei ascensioni, per un totale di quasi 5 mila 500 metri di dislivello.

Sul versante piemontese del Parco Nazionale del Gran Paradiso, Punta Rocchetta – che con i suoi 2 mila 922 metri sovrasta il lago di Ceresole Reale e apre alla splendida vista delle Levanne e del Ghiacciaio di Nel – è stata la prima delle cime scalata dagli uomini e dalle donne della 5ª batteria del Gruppo “Aosta”.

Tra pascoli e pietraie, l’itinerario è stato reso difficoltoso dalle alte temperature, che non hanno impedito però l’arrivo alla cima.

In vetta, gli artiglieri guidati del capitano Mattia Bernardi, comandante della batteria, hanno innalzato il tricolore e letto la tradizionale Preghiera in ricordo di tutti i Caduti.

Presenti sulla cima – una delle 150 dell’iniziativa per commemorare il centocinquantenario del Corpo – anche il comandante della Brigata alpina Taurinense generale Nicola Piasente, il comandante del 1° reggimento Artiglieria Terrestre colonnello Angelo Tancredi e i rappresentanti della sezione di Ivrea dell’Associazione Nazionale Alpini con il loro vessillo.

È una storia, quella del Canavese, intimamente legata alle penne nere: sentieri e mulattiere seguiti oggi dagli artiglieri alpini della Taurinense sono gli stessi percorsi da 150 anni dai Battaglioni alpini “Ivrea”, “Val d’Orco” e “Monte Levanna” e dal Gruppo di artiglieria da montagna “Val d’Orco”, reparti formati dai giovani provenienti da tutto il Canavese.

La Divisione alpina “Alpi Graie” e lo stesso 4° Reggimento Alpini – con il quale fu ricostituita la Taurinense nel secondo dopoguerra – ebbero sede a Ivrea.

La nappina rossa che gli Alpini della Fanfara portano ancora oggi sul cappello, testimonia il forte legame delle truppe alpine con il 4° Alpini e la sua terra: le montagne del Canavese.

Proprio la Fanfara della Brigata alpina Taurinense si è esibita giovedì scorso a Locana, dove gli artiglieri di Fossano hanno realizzato uno spazio espositivo grazie al quale far conoscere alla popolazione la realtà attuale delle truppe alpine dell’Esercito e il modulo movimento in montagna estivo, mirato a potenziare le capacità di muovere, vivere e combattere in quota in piena autonomia logistica. IVREA – L’usura esercitata dal tempo sui ricordi e il disinteresse sono spesso le prime cause dell’oblio in cui finiscono anche gli uomini migliori.

Anche per questo motivo abbiamo il dovere di tramandare i loro nomi, come facciamo ora nei confronti dei nostri superstiti della Resistenza, deceduti in questi ultimi anni.

Recentemente è morto Renzo Sarteur all’età di 90 anni, viveva da molto tempo nella frazione Bienca di Chiaverano.

Nato nel 1931 a Challant Saint Anselme, in Val d’Ayas, aveva preso parte alla Resistenza fin da quando aveva solo 13 anni.

Non aveva partecipato ai combattimenti avvenuti in quel periodo perché era solo un ragazzo, ma ciò nonostante si prodigava per portare in salvo militari sbandati dopo l’8 settembre, profughi e perseguitati politici.

Una volta aveva dovuto fare da guida anche a un gruppo di paracadutisti inglesi che erano stati lanciati per errore in Valle d’Aosta.

In seguito, era stato assunto da un’azienda che si occupava di macchinari utilizzati per la manutenzione delle strade.

Nello stesso tempo aveva fatto parte del Pci e dell’Anpi, collaborando con il giornale L’Unità e altre pubblicazioni.

Aveva sempre con sé la fedele cagna Lilla, sua compagna inseparabile.

Nel novero degli ultimi superstiti della Resistenza, ancora viventi nel Canavese fino a pochi anni or sono, vi erano pure Amos Messori, Riccardo Ravera Chion e Antonio Ferrera di Baio Dora, morto nel febbraio scorso all’età di 101 anni. Amos Messori, di origine emiliana, aveva fatto parte del gruppo di Giustizia e Libertà che nel 1944 aveva distrutto per due volte il ponte ferroviario di Ivrea al fine di evitare un bombardamento da parte dell’aviazione alleata, che avrebbe potuto causare molte vittime tra la popolazione.

Anche Riccardo Ravera Chion era solo un ragazzo quando si era arruolato con il fratello Luciano nella VII Divisione “Garibaldi”. Riccardo ricordava con viva commozione l’episodio della cattura del loro comandante Ugo Macchieraldo e di altri partigiani, avvenuta a Lace di Donato nel gennaio del 1944, a causa di un tradimento.

E si rammaricava perché era giunto con altri partigiani sul posto quando i loro compagni erano già stati catturati.

Egli ricordava, inoltre, che il comandante Macchieraldo aveva un cane molto affezionato, il quale aveva seguito il suo padrone quando era stato catturato.

Un testimone, poi, aveva raccontato che il comandante Macchieraldo aveva pronunciato queste parole prima di essere fucilato con i suoi compagni: “Perdono i tedeschi perché sono sempre stati nostri nemici, ma non posso perdonare i fascisti perché sono i loro servi”. Si è saputo, inoltre, che confortava i suoi compagni mentre attendevano di essere fucilati.

Roberto Damilano