(Graziella Cortese)

Il Festival del Cinema di Venezia ai tempi del Coronavirus: la manifestazione numero 77 si è destreggiata bene tra mascherine e abiti in lamé, arrivando però al verdetto finale con molte polemiche e qualche accusa nei confronti della giuria presieduta da una sorridente Cate Blanchett.

La pellicola di Gianfranco Rosi ha diviso il giudizio degli osservatori: da una parte è nata la contestazione per l’esclusione dai premi del film italiano, dall’altra vi sono stati giudizi poco positivi sulle scelte estetiche del regista.

L’opera è stata girata in tre anni nei complicati territori della Siria e del Libano, e poi in Iraq e in Kurdistan: sono storie al confine, ma non c’è una vera narrazione, l’idea del regista è quella di creare “un’esplorazione dentro una regione e le sue genti”.

Il mondo descritto è quello dei profughi e di chi è in fuga da tutte le guerre del mondo: un bracconiere cerca la salvezza in mezzo ai canneti e ai pozzi di petrolio, le madri curde alzano una preghiera al cielo per chiedere pietà per i loro figli ormai perduti, ci sono soldati in addestramento, ma non sappiamo contro quale nemico, e c’è un ragazzino, Alì, che posa il suo sguardo attorno: egli è diventato grande in fretta ed è disposto a fare qualsiasi lavoro pur di aiutare la sua famiglia e i suoi fratelli.

Le sequenze sono state registrate in presa diretta, a volte anche l’incolumità del regista e della troupe è stata messa a rischio. Non si tratta di un vero documentario realistico o di un reportage, ma piuttosto di una ricerca della bellezza anche attraverso il dolore.

La sensazione è simile a quella che si prova davanti a un libro di fotografie, luci e panorami ricercati, lo sfondo con un albero in mezzo al vento, come un’opera d’arte.

È corretto descrivere in questo modo la guerra? Anche qui l’arduo giudizio compete agli spettatori.

Notturno
di Gianfranco Rosi
paese: Italia 2020
genere: documentario
interpreti: persone reali
durata: 1 ora e 40 minuti
giudizio: interessante