(Filippo Ciantia)

La malattia aveva già riempito a sufficienza la vita di Giovanni e Mariangela. Entrambi medici, ogni giorno incontravano persone che vivevano quella situazione strana e drammatica che non si può capire dai libri e dai discorsi. Una stranezza, perché la malattia va contro la nostra natura che grida e chiede vita in ogni sua espressione istintiva o razionale. Una drammaticità perché, in fondo, si tratta di una profezia della fine (o del fine) cui, noi essere mortali, siamo destinati.

Una professione vissuta con passione e impegno, come tanti, non tutti, i colleghi. Come per tutte le espressioni grandi dell’umana vita, l’esercizio della medicina (e anche l’amore) può essere il luogo delle più grandi eroicità (spesso) o delle più meschine volgarità (talvolta).

Giovanni e Mariangela avevano già “gustato” il sapore amaro della sofferenza con la malattia del loro secondogenito Tommaso. Dopo anni dalla sua guarigione, non pensavano di dover essere chiamati ad una seconda sfida.

Ma Maddalena, dopo essersi accorta di essere anche lei gravemente ammalata, li aveva stupefatti: “Papà, mamma, è bene che sia successo a me, invece che ad altri. Io ho voi due che mi curerete e non mi lascerete sola”.

A loro invece pare una ingiustizia: perché, ancora, alla nostra famiglia? Si trovano nel loro “orto degli ulivi”, a vivere le stesse tentazioni di Gesù. I fratelli, Tommaso, Matilde, Martino, Cecilia, invece, non hanno esitazioni: “Affrontiamo quello che va fatto!”.

Nel pieno della terapia di Maddalena, fatta di alti e bassi, di momenti angoscianti e di risultati confortanti, nei loro due ambulatori della bergamasca incominciano ad arrivare pazienti con tosse, febbre, stanchezza profonda, difficoltà a respirare. Uno, due, cinque…. È l’epidemia che abbiamo imparato a conoscere.

L’ultimo giorno di febbraio si ammala Giovanni, che, come tanti medici di famiglia, viene ricoverato e assistito con l’ossigeno. Dopo 6 giorni il virus si attesta nei polmoni di Mariangela. Sono settimane di fatica e isolamento, mentre sembrano venir meno le forze.

Ne sono usciti ed incontrarli oggi, tutti e tre, e vedere i loro volti e ascoltare le loro parole non è soltanto bello: è una grazia.

“Vivere la malattia bene e annunciare agli altri, dire agli altri, testimoniare agli altri come si deve vivere una malattia, fa crescere le persone” (Eugenio Corecco)