LOCANA – 120 mila utenti di tutto il Canavese serviti da una rete di tubazioni lunga complessivamente 120 km, che sarà realizzata in un periodo di circa 10 anni a fronte di un investimento complessivamente stimato in 150 milioni di euro. Sono queste alcune delle impressionanti cifre del progetto del nuovo Acquedotto Valle Orco, messo in cantiere dalla Smat: un’opera decisamente importante, senza precedenti analoghi sul territorio e con pochi termini di paragone nel campo delle opere pubbliche.
Per chiarire le dimensioni dell’intervento e le sue ricadute, oltre che per provare a fugare le legittime perplessità di alcuni, due settimane fa si è svolto nella sala consiliare del Municipio di Rivarolo un incontro aperto a tutti i sindaci dei Comuni canavesani interessati, al quale sono stati invitati anche i anche i rappresentanti dei Consorzi irrigui Est ed Ovest Orco e il combattivo Comitato provinciale Acqua Pubblica (nato 10 anni fa sull’onda della battaglia referendaria contro la privatizzazione delle risorse idriche).

A spiegare i principali contenuti tecnici del progetto sono stati gli ingegneri Marco Acri e Silvano Iraldo, rispettivamente direttore generale e direttore tecnico di Smat. I due hanno definito l’intervento come “rivoluzionario” per il sistema di approvvigionamento idrico del Canavese, che ad opera compiuta vedrà risolte tutte le sue attuali carenze. Nel dettaglio, il nuovo impianto preleverà l’acqua dal torrente Piantonetto, sopra Rosone, utilizzando il già esistente invaso del Teleccio a 1.900 metri di quota. Di qui partirà una rete di tubazioni – comprensiva sia di quelle di adduzione sia di quelle di distribuzione – lunga oltre 120 chilometri, che si snoderà attraverso 41 Comuni della coliina e pianura canavesana: da quelli più vicini come Pont e Cuorgnè, Rivarolo e Castellamonte, biforcandosi in quest’ultima località per arrivare da una parte a Ivrea e dall’altra sino a Caluso.

Ovviamente, un progetto tanto ambizioso richiederà tempi lunghi (la durata del cantiere è stimata in una decina d’anni) e investimenti particolarmente onerosi: a questo riguardo, non si è mancato di porre l’accento sulle ricadute occupazionali sul territorio, che nelle previsioni più ottimistiche giungono a sfiorare i mille posti di lavoro. Una stima che ha particolarmente ingolosito in particolare gli amministratori pubblici presenti, sempre più impotentemente alle prese con periferie sociali in cui la mancanza di lavoro è un elemento drammatico di esclusione sociale. “Spe-riamo che i cantieri partano al più presto”, ha commentato tra gli altri il sindaco di Locana Giovanni Bruno Mattiet.

Sulla linea di Bruno Mattiet si è posta anche l’Uncem (Unione Nazionale Comuni e Enti Montani), il cui vicepresidente regionale Marco Bussone ha affidato alla pagina istituzionale su Facebook una riflessione alquanto chiara. Dopo aver definito il nuovo acquedotto “un’opera importante, che usa infrastrutture montane esistenti grazie a un patto di Smat con Iren e ne crea di nuove, generando investimenti e posti di lavoro”, l’Uncem pone con decisione una questione spinosa: “Che cosa garantirà stabilmente Smat ai territori? Quanto vale quell’acqua più la forza di gravità? Quanto vale il territorio montano? È del tutto evidente che utilizzare acqua e forza di gravità (quest’ultimo bene è solo della montagna) generando importanti fatturati e utili a vantaggio dell’azienda, deve finalmente consentire un pieno riconoscimento dei servizi ecosistemico-ambientali che il territorio alpino in questione garantiscono: acqua, protezione delle fonti, difesa dell’assetto idrogeologico, forza di gravità. Si tratta di beni materiali e immateriali, di servizi a vantaggio della collettività e capaci di determinare ottimi numeri sui bilanci. Ecco perché non basta qualche anno di lavoro, qualche compensazione, qualche interazione più o meno interessante per le Valli… Serve un’azione politica e istituzionale vera e seria, per atti duraturi nel tempo che dicano che quell’opera, quei servizi, quei beni sono della montagna, sono dei territori. E vanno pagati”.

Uncem cita a proposito il caso di una delle metropoli più grandi (e assetate) del pianeta, ovvero New York che ogni anno riconosce alle aree montane retrostanti una buona e costante cifra per la protezione delle fonti e per la garanzia di fornitura di acqua potabile. Insomma, secondo Bussone bisogna che sia chiaramente monetizzato il tornaconto per i Comuni montani da cui verrà captata l’acqua del nuovo impianto: “Noi, Uncem, siamo per una immediata analisi di cifre e opportunità, ritorni e stabile definizione degli Psea come previsti dalla legge 221/2015. Molto chiara e snella, con precisi ruoli per i territori attraverso gli enti locali che Uncem si impegna a rappresentare, anche questa volta, fino in fondo”. (Maurizio Vicario)