In democrazia l’opposizione è essenziale per il corretto funzionamento delle istituzioni; oggi, tuttavia, i tre gruppi del disciolto centro-sinistra continuano a procedere in ordine sparso, come se “dovessero ancora elaborare la sconfitta”.

Alla riunione romana dei Pentastellati un Beppe Grillo “felice” si è augurato che “il Governo Meloni duri a lungo” perché farebbe crescere il Movimento; dunque un’opposizione non finalizzata all’alternativa democratica ma al successo della propria parte, ovvero una contestazione fine a se stessa, una protesta con l’occhio rivolto alle urne, nonostante la grave crisi sociale che attraversa il Paese; e anche il rifiuto di Conte ad allearsi con il Pd nelle imminenti elezioni regionali per il Lazio conferma la strategia grillina: meglio la vittoria del centro-destra che l’unione con il Pd, vero nemico da battere.

I Centristi, nonostante i sondaggi li diano in crescita leggera (8%), sono già divisi tra l’opposizione “seria e costruttiva” di Calenda e la “mano dialogante” di Renzi con la Meloni; alcuni media rilevano che i due leader “non mangeranno insieme il panettone”, con parti separate nel 2023. Resta l’interrogativo politico di fondo: con un sistema elettorale parzialmente maggioritario, dove può andare una forza politica senza alleanze?

Il Pd ha stabilito “le primarie” per l’elezione del nuovo segretario per il 12 marzo; prima dovrà essere definita “la carta d’identità” del partito, i suoi valori, le sue alleanze. È un percorso in salita, ma essenziale, perché il 25 settembre sono stati sconfitti sia Enrico Letta sia la linea politica e programmatica approvata all’unanimità dalla Direzione.

I nodi sono molteplici. Ferma restando la fedeltà alla Costituzione repubblicana, nata dalla Liberazione, l’appartenenza storica all’Alleanza atlantica e all’Unione Europea, appare urgente la scelta tra sistema maggioritario (i due Poli, dell’era Berlusconi-Prodi) e proporzionale (quello della prima Repubblica), per non restare, come Letta, soli e sconfitti (secondo le rilevazioni degli esperti, il centro-destra non avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta in due casi analoghi: alleanza Letta-Conte o Pd-Azione-Italia Viva).

Sul piano programmatico non ha pagato la linea socialdemocratica moderata sul piano sociale (poco spazio al tema delle diseguaglianze crescenti nella società capitalista-avanzata, fiducia eccessiva nella logica di mercato e nel ruolo dei grandi gruppi); sul piano etico-culturale è prevalsa la linea radicale del socialismo europeo, ben diversa dalle ispirazioni classiche delle due formazioni politiche che hanno dato vita al Pd nel 2007: i Ds e la sinistra Dc (con l’area laico-liberale in minoranza). Un solo esempio: l’art. 29 della Costituzione, che tutela “la famiglia tradizionale”, è stato scritto a quattro mani da Nilde Jotti e Giuseppe Dossetti; oggi la linea del Pd è quella sessantottina di Craxi e Pannella.

L’analisi critica per il Pd è imposta dai fatti: tra questi la netta sconfitta politica in una regione dalle forti radici antifasciste come il Piemonte.

Nel vuoto delle opposizioni il Governo Meloni muove i primi passi, confermando la doppia linea: istituzionale e identitaria. Nel primo Consiglio dei ministri operativo non si è parlato del caro-bollette: il nuovo ministro del Tesoro (il leghista Giorgetti, filo-Draghi) ha convinto la Meloni ad attendere i colloqui con Bruxelles sulle possibilità di sforamento del bilancio statale per l’anno prossimo, aiutato anche dall’inatteso incremento del Pil (il “tesoretto” lasciato da Draghi salirebbe da 10 a 21 miliardi); sul piano “identitario” (secondo La Stampa “legge e ordine”) è stata cancellata la disciplina vigente per i sanitari no-vax e si sono inasprite le pene per i Rave-party; confermati anche i limiti per le Ong che nel Mediterraneo salvano i naufraghi.

Restano i problemi politici tra la Meloni e la coppia “sconfitta” Salvini-Berlusconi: il leader leghista, nonostante il suo ruolo di vice-premier, continua nella campagna identitaria sulle cose da fare, Berlusconi insiste nelle critiche a Kiev, mettendo in difficoltà il “suo” Ministro degli Esteri, Tajani.

Nell’assenza delle opposizioni istituzionali, nella maggioranza di governo si sono creati due Poli, di governo e di critica.