(di Cristina Terribili)

ROMA – Possiamo stare tutti quanti tranquilli: fino al 2021 abbiamo tempo di farci spiegare i benefici o i dissesti provocati dal cambio dell’ora. Ci sarà sufficientemente tempo per organizzare il palinsesto delle reti televisive, invitare esperti a favore o contro e prendere una decisione consapevole e concreta. A quel punto dovremo decidere se lasciare per sempre l’ora solare o modificarla attraverso il mantenimento dell’ora legale.

Tra sabato e domenica, però, spostiamo le lancette avanti di un’ora. Lasciamolo fare a telefonini, computer e tablet che vanno in automatico e preoccupiamoci degli orologi che abbiamo in casa, quello dell’automobile, della collezione che sta nel portagioie, per poi, tra qualche giorno, trasalire, perché guarderemo l’ora dall’unico orologio che è sfuggito al nostro controllo, vivendo qualche minuto di panico pensando di essere irrimediabilmente in ritardo. Da domenica mattina ci sarà chi, per qualche giorno, sarà uno zombie stralunato, chi mangerà fuori orario, chi avrà sempre sonno, chi ricorderà pedantemente che però a ottobre si potrà dormire un’ora in più. Io faccio parte degli zombie: mi sveglierò impiegando un po’ più di tempo per capire la fascia oraria in cui mi trovo, avrò fame prima di pranzo e prima di cena, entrerò ed uscirò dal mio studio sorprendendomi di ciò che il buio o la luce saranno in grado di raccontarmi. Avrò, per qualche giorno, la strana sensazione che possa essere troppo presto o troppo tardi. Poi mi adatterò e non ci penserò più.

Perché, la cosa più bella di ogni essere vivente, e soprattutto quella che denota la sua intelligenza e la sua sopravvivenza, è la capacità di adattarsi ai cambiamenti. Mi piacerebbe parlarvi dell’epigenetica, per spiegare come la natura mette in atto quei cambiamenti che diventano elemento stabile nelle generazioni successive, ma mi sembra noioso. Mi soffermo, invece, sul pensiero che, lo sforzo insito nel processo di cambiamento, ancorché all’inizio leggermente faticoso, sarà poi facilmente superato; ci si adatterà naturalmente e tutto quello che sembrava difficile non lo sarà più. Il cambiamento farà parte di noi, diventerà il nostro presente.

Ogni individuo, nella propria storia personale e sociale, ha superato continui cambiamenti e aggiustamenti. C’è chi lo ha fatto spontaneamente e chi si è dovuto adattare a causa di “condizioni esterne”; la flessibilità nell’accettare i cambiamenti ha fatto sì che questi potessero divenire parte di un percorso che ha modificato profondamente le nostre abitudini. L’abitudine o modalità passata, diventa aneddoto, va a far parte di quella scorta di ricordi, più o meno piacevoli, che si racconteranno a tavola con gli amici.

Forse, se ogni cambiamento fosse legato ad un percorso di consapevolezza, sarebbe più solido ed efficace. A me piacerebbe pensare che alcuni dei cambiamenti, benché forzati da alcune situazioni, siano la possibilità di una riflessione e portino a cambiamenti ancora più stabili e che si rivolgono ad un numero più ampio di persone. Assodato che il “mai” è un vocabolo precario, auspico che nei prossimi tempi si possano pensare anche altri cambiamenti: mi piacerebbe che qualcuno, alla luce di quanto accaduto a Rami ed Adam, i due ragazzini coinvolti nel dirottamento del bus di San Donato Milanese, ripensi a che cosa significa essere cittadini italiani. Che non bisogna diventare necessariamente eroi, per entrare in parametri appositamente rivisti e corretti che permettono o meno l’attribuzione della cittadinanza. Ora che si spegneranno le luci su questi ragazzi, ora che tra qualche giorno, riprenderemo un nuovo ritmo per le nostre giornate, ripensiamo a tutti i cambiamenti di cui potremmo essere artefici e i benefici che (ci) apporterebbero.