Il Mes, il meccanismo europeo salva-Stati, “balcanizza” la politica italiana: la Meloni, bloccata a Bruxelles dal persistente veto di Salvini alla ratifica del trattato (firmato da 26 paesi), si è difesa attaccando tutti gli oppositori, compresi l’ex presidente della BCE Mario Draghi e l’ex premier Giuseppe Conte, dimenticando anche che i fondi europei del PNRR (quasi 200 miliardi) sono stati ottenuti da un Governo di cui lei era all’opposizione. In realtà il peso di Salvini nella maggioranza è molto superiore alla sua consistenza elettorale: 9-10%; in un contesto politico diverso, ricorda il ruolo egemone di Craxi (anch’egli sul 10%) nel centro-sinistra post-preambolo degli anni ottanta.

In sé la vicenda Mes è paradossale: l’Europa non chiede all’Italia di ricorrere a questi finanziamenti, ma semplicemente di dare il via libera agli Stati che intendano farlo; come ha scritto il “Corriere della Sera”, con un paragone con la vita di un condominio, è la stessa situazione di uno stabile con 27 proprietari, bloccati nelle scelte da un solo oppositore.

In realtà l’intransigenza di Salvini rientra nel disegno anti-europeista, confermato dal recente convegno di Firenze dell’estrema destra; la Meloni, che pure si è avvicinata alla presidente Ursula von der Leyen, non rinuncia all’aggancio con la destra europea; ne è conferma l’imminente “convention” di Fratelli d’Italia, con l’invito a partecipare al leader spagnolo di Vox, Abascal, che ha “auspicato” la morte per impiccagione del premier socialista Sanchez. Non è un bel biglietto da visita per il governo italiano nelle trattative con Bruxelles, ove la premier spera di ottenere agevolazioni sul patto di stabilità finanziaria. Soprattutto non è esaltante una politica estera che oscilla continuamente dal sì al no all’Europa, anche per il ruolo dell’Italia nella nascita della UE, da De Gasperi a Spinelli, una tradizione ininterrotta sino al 2018, quando cominciarono i distinguo con la nuova maggioranza giallo-verde, M5S-Lega.

C’è poi un altro rischio politico: il veto italiano al Mes, il rifiuto dell’unanimità delle scelte, offre un alibi ad altri veti ancor più importanti, come quelli dell’ungherese Orban sulle guerre in Ucraina e in Medio-Oriente e sulla politica dei migranti, con un’Europa paralizzata, mentre cambia lo scenario mondiale: Putin che ritorna in gioco nonostante l’aggressione a Kiev e gli Stati Uniti paralizzati dal duello presidenziale Trump-Biden (in difficoltà anche per l’intransigenza bellica del governo di Tel Aviv).

La politica estera torna centrale nella vita del Paese, ma le forze politiche stentano ad accettarlo, con un’attenzione, che rimane prioritaria, sulla campagna elettorale permanente e sulla “demonizzazione” dell’avversario.

Nel centro-destra va riconosciuto l’impegno di Forza Italia, con il ministro degli Esteri Tajani, di mantenere ferma l’opzione europea, in aperto dissenso con la Lega; nel centro-sinistra il Pd ribadisce la sua scelta pro-Bruxelles con un imminente convegno con l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, l’ex segretario Letta, il commissario europeo all’Economia Gentiloni; i Cinquestelle, dopo le opzioni pro-Mosca e Pechino (con l’accordo sulla “via della seta” dell’era Grillo), sono ora alla ricerca di una confluenza nel Parlamento di Bruxelles con i “Verdi” (si deciderà dopo il voto di giugno); ma sui grandi temi, sui conflitti aperti a Kiev e a Gaza permane una rilevante distanza tra Pd e M5S, rendendo programmaticamente incerto “il campo largo”; nell’area centrista Calenda si conferma sulla linea atlantica, mentre cresce la critica di Renzi alla Meloni, accusata di “fare melina” con i continui rinvii sul Mes; dopo la rottura Calenda e Renzi, sui grandi temi, si confermano paradossalmente più vicini; questo rende ancora più incomprensibile lo “sfascio” dell’area politica centrale del Paese, voluta dai sondaggi attorno al 10%.
Dulcis in fundo: i parlamentari trascorreranno le feste natalizie a Montecitorio perché continuano i litigi nella maggioranza su alcuni emendamenti; i “Berlusconiani”, con una mano tesa ai Pentastellati, propongono una proroga del superbonus edilizio, venendo incontro alle richieste del mondo dei costruttori e dei proprietari di case; FdI ha avanzato riserve sui costi del ponte sullo Stretto (caro ai leghisti) e il Ministero dell’Economia è stato costretto a ricorrere ad altre fonti di finanziamento.

Con il mondo che brucia per le guerre, la fine d’anno parlamentare sembra incentrata su temi rispettabili e legittimi, ma lo sguardo del Paese dovrebbe essere rivolto… più in alto.