Lunedì 27 ottobre ho partecipato alla Messa del Santo Padre con gli studenti delle Università Pontificie. In quell’occasione Papa Leone XIV ha firmato la Lettera Apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza”, pubblicata nel sessantesimo della Gravissimum educationis. Le parole del Papa, sia nell’omelia sia nella lettera, mi hanno colpito perché toccano due ferite aperte del mondo educativo: la pigrizia intellettuale e la tecnofobia.

Chi studia si eleva, allarga i propri orizzonti […] riceve uno sguardo ampio, che sa andare lontano, che non semplifica le questioni, che non teme le domande”, ha detto il Papa. È una frase che mette a nudo un male diffuso tra noi studenti: la tendenza ad accontentarsi, a studiare solo per stare a galla. La pigrizia intellettuale non è solo mancanza di impegno, ma chiusura dello sguardo. Lo vedo ogni giorno: compagni che non distinguono tra “arabo” e “musulmano”, o professori che parlano di “immigrati che parlano musulmano”. È il sintomo di un pensiero che non abita più la realtà, ma si adagia su stereotipi.

C’è chi pensa che la complessità del sapere renda inevitabile questa superficialità, ma è una resa. Leone XIV invita invece a “vincere la pigrizia intellettuale” come via per sconfiggere anche “l’atrofia spirituale”. Quando smettiamo di cercare, ci inaridiamo dentro. Studiare, allora, non è un esercizio scolastico: è un atto vitale, una forma di resistenza contro la mediocrità.
La stessa energia attraversa la Lettera Apostolica: “rafforzare la formazione dei docenti anche sul piano digitale; valorizzare la didattica attiva; promuovere service-learning e cittadinanza responsabile; evitare ogni tecno fobia”. Oggi le scuole sono ancora ostili alla tecnologia, più di quando le frequentavo io.

Eppure, scrive il Papa, “il progresso tecnologico fa parte del piano di Dio per la creazione”. Parole che rovesciano un luogo comune da me tanto combattuto: la tecnologia non è un nemico da temere, ma una realtà da abitare con discernimento.

Se un docente non è formato al digitale, lo affronterà con diffidenza e repressione, non con intelligenza educativa. Così facendo non formerà cittadini consapevoli, ma giovani pronti a cadere nelle comode trappole ammalianti che un tal mondo vasto può inventare. Invece educare, oggi più che mai, significa unire competenza e lungimiranza, non di certo irrigidimento e pigrizia, e soprattutto una sincera dose di umanità.

Perché, come scrive Leone XIV, nessun algoritmo potrà mai sostituire ciò che rende umana l’educazione: “poesia, ironia, amore, arte, immaginazione, la gioia della scoperta”.