Fedele ad una promessa, mi sono recato in pellegrinaggio a Paimol, dove nell’ottobre del 1918 furono martirizzati due giovani catechisti, Jildo Irwa e Daudi Okello. Il complesso del santuario, che sorge a pochi chilometri dall’ospedale di Kalongo, è completato dalla casa dei sacerdoti e da un grande altare che domina la spianata che il 20 ottobre di ogni anno, nella festa dei due beati, ospita decine di migliaia di persone. All’interno della chiesa sono stati realizzati dei dipinti che permettono al popolo di apprezzare la ricchezza di santità che ha benedetto queste terre. Ci sono i volti di santi molto noti, come Josephine Bakhita e Daniele Comboni, e di illustri missionari, come padre Gambaretto che battezzò i due giovani catechisti martiri.

Tra tanti volti conosciuti, sono rimasto colpito dal volto sorridente di Benedict Daswa, che ho scoperto essere il primo martire, proclamato beato, del Sudafrica. Un uomo molto comune, destinato sin dall’infanzia alla grandezza. Infatti, il suo nome completo era Tshimangadzo (che significa miracolo o meraviglia), Samuel (nome inglese dato alla nascita), Benedict (nome di battesimo), Daswa (cognome) e infine Bakali (nome del clan Lemba cui apparteneva la famiglia).

Ma cosa ha reso speciale questo uomo che visse nel Sudafrica dell’Apartheid e che ebbe una sposa e otto figli? Viene ricordato nel santuario dei martiri di Paimol, come fratello africano, per la sua fede in Cristo fino al sangue. Nato in una famiglia non cristiana, si converte e diventa catechista. Quando un potente temporale si abbatte sul villaggio e molte capanne vengono distrutte, i capi pensano alla stregoneria e al malocchio.

Benedict, come già aveva fatto nel passato, si oppone fieramente alla persecuzione di donne anziane e innocenti. “La mia fede mi impedisce di partecipare a questa caccia alle streghe”, dice, mentre si sforza di spiegare l’origine naturale dei fulmini. Tale atteggiamento scatena rabbia e odio, che già covavano verso questo uomo saggio e coerente. Viene assalito, torturato e ucciso. Muore pregando: “Dio, nelle tue mani ricevi il mio spirito”.

Il suo funerale viene celebrato il 10 febbraio 1990, la vigilia della liberazione di Nelson Mandela dal carcere. “(Il martire Lorenzo) amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte” (Sant’Agostino).