(Mario Berardi)
“Credo che l’Europa unita deve fare una proposta di pace, cercando di fare accogliere agli Ucraini le domande di Putin”: queste clamorose dichiarazioni di Berlusconi a Napoli hanno dato un ancoraggio politico al partito filo-russo che da tempo aleggia su Montecitorio. Una sostanziale richiesta di resa per Kiev, sulla linea che in Europa sostiene soltanto l’ungherese Orban. Il leader di Forza Italia, dopo le contestazioni interne, ha rettificato il tiro, ma subito è stato “soccorso” da Salvini; su un altro versante la difesa della Russia è portata avanti dal blog di Grillo, fondatore e garante del M5S.
Berlusconi, Salvini, Grillo non da oggi sono estimatori dichiarati del Presidente russo; ma la questione politica esplode perché Lega e M5S fanno parte della maggioranza Draghi, la cui politica estera – in sintonia con il presidente Mattarella – è di netta condanna dell’aggressione di Mosca, di piena solidarietà con il popolo ucraino, nella ricerca, con l’Europa, di una tregua che ponga fine alla guerra, ai massacri, creando le basi per una pace duratura.
Le diversità in politica estera sono un problema serio per il Governo e potrebbero rendere molto difficile la navigazione, non essendo esclusa l’ipotesi di elezioni anticipate in autunno. Lo stesso Draghi, con una convocazione improvvisa del Consiglio dei ministri dopo un difficile dibattito alle Camere sulla guerra, non ha escluso un gesto clamoroso, qualora i nodi politici dovessero crescere: tutti ruotano sui rapporti con l’UE di Bruxelles, con le riforme connesse ai finanziamenti europei del PNRR: fisco, concorrenza, giustizia.
La politica estera ha confermato lo scontro in atto nelle stesse coalizioni: Fratelli d’Italia, con il co-fondatore Guido Crosetto, ha riconfermato la scelta occidentale, in aperta polemica con Salvini, nel centro-sinistra Letta ha chiesto a Conte di non mettere a rischio la stabilità dell’Esecutivo con le continue critiche al premier.
A favore del Governo giocano i contrasti in seno ai partiti “sovranisti”: a Torino il ministro degli Esteri Di Maio ha ridimensionato il ruolo politico di Grillo, riaffermando piena adesione a Draghi sino alla scadenza naturale della legislatura; nella Lega i ministri hanno condiviso l’ultimatum del premier, in Forza Italia il colpo di scena berlusconiano ha suscitato una larghissima insoddisfazione, con minacce di formazione di un nuovo gruppo centrista (Gelmini, Carfagna). Peraltro i sondaggi confermano la debolezza del “fronte” sovranista (15% la Lega, 12% i Grillini). Le forze centriste minori, da Calenda a Renzi, da Toti a Lupi, hanno ribadito la lealtà al Presidente del Consiglio, anche se ha destato sconcerto la partecipazione dello stesso Renzi a una iniziativa politica della Lega.
Alcuni osservatori ritengono che il clima politico migliorerà dopo il voto amministrativo e referendario del 12 giugno; citano in positivo l’intesa raggiunta sulle concessioni balneari. Il Parlamento, inoltre, ha la necessità di varare una nuova legge elettorale che limiti i danni della “polverizzazione” delle alleanze politiche, per evitare una possibile paralisi dopo il voto del 2023.
Ma su tutto resta dominante la questione della guerra: Mattarella e Draghi, impegnati nella ricerca della pace, non attenuano le responsabilità di Mosca nel conflitto con l’Ucraina, in violazione del diritto internazionale e della sovranità delle nazioni; ogni ipotesi di neutralità tra aggressore e aggredito è lontana dalla prospettiva del Quirinale e di Palazzo Chigi; in questo contesto non c’è spazio per la riedizione della maggioranza sovranista che ha governato con il primo governo-Conte. La stessa retromarcia di Berlusconi dopo la sceneggiata napoletana è la dimostrazione dell’impossibile ritorno a un passato giallo-verde; anche a costo di un rischioso voto anticipato.