Nella Casa Alpina del mio paese si è aperta la mostra “Il cappellano don Gnocchi e i suoi Alpini”, che ripercorre gli anni in cui, in qualità di cappellano militare, don Carlo accompagnò i suoi studenti e tantissimi Alpini nelle tragiche campagne di guerra in Albania, Grecia e Russia.

Il percorso si apre con il sacerdote milanese che sceglie di condividere il destino dei suoi giovani soldati: “Sotto le armi vi sono tante anime di uomini che soffrono… Quanto bisogno di Vangelo, là dove si muore!”. È l’inizio di una missione vissuta non nelle retrovie, ma “tra le ferite e la morte”, dove la fede diventa conforto e presenza.

Nel secondo pannello, don Carlo celebra la forza morale dei “suoi” soldati: “Tutti hanno dato fino all’eroismo… Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio”. La guerra, spogliata di retorica, rivela un’umanità estrema, fatta di dolore e solidarietà. Ecco il compito della vita: essere degni di Dio!

Poi, emerge l’ammirazione per gli Alpini, capaci di vivere l’eroismo quotidiano del silenzio e del lavoro: “Lo straordinario è ordinario. Anch’io mi sento umiliato davanti a questi ragazzi”. Scopre l’amore divino e la grandezza dell’uomo nel sacrificio del proprio dovere.

Così si restituisce dignità alla fatica: “Non c’è tenda dove non si reciti il Rosario ogni sera! …. come preparazione potrà servire la vita di lavoro e di sacrificio”. Il lavoro diventa preghiera, gesto condiviso, costruzione di pace in mezzo alla tempesta.

La preghiera dell’Alpino è forte e dritta… mira diritto al Signore, senza dubbi né lusinghe”. Senza tanta teologia l’uomo leale e vero vive una spiritualità concreta e sincera, fatta di poche parole e molta sostanza. Fatta anche di canti d’amore, di stupore, di dolore e nostalgia.

“Semplicità e forza” è la sintesi del pensiero di Don Carlo: “Mi sono accorto che non so fare sacrificio con la semplicità dei miei Alpini… questi hanno la stoffa dell’eroe”. Egli scopre nell’orrore della guerra la santità quotidiana.

L’esperienza della guerra e della tragica ritirata di Russia condusse il beato ad offrire tutta la sua vita perché ogni sofferente e malato potesse tornare a gustare la vita, nel suo significato terreno e nel contempo eterno.

Siamo in un tempo benedetto: quante domande! La Chiesa diventa esperta di umanità, se cammina con l’umanità e ha nel cuore l’eco delle sue domande” (Leone XIV)